racconti
Una palla che rimbalza fin qui
Qui ci sono i nomi dei racconti selezionati al concorso di Caterueb "Una palla di racconto". Complimenti a tutti i vincenti, usciranno in un libro della Fandango.
Il mio racconto non c'è, quindi posso immediatamente postarlo qui.
Altrimenti, per esempio tu che passi spesso di qui, per leggerlo ti dovevi comprare il libro apposta. O no? Buona lettura.
Rimbalzi
Quando sono uscito dalla fabbrica ero una meraviglia. Giallo fiammante, coi pentagoni neri e una gran bella scritta rossa. Rotondo, agile e pieno di vita.
Ora sopravvivo in uno scatolone umido in garage. Sono plastica informe, moscia, sporca.
E porto sulla schiena la firma del mio assassino.
Ho avuto decine di padroni, in trenta paesi e due continenti.
Ho visto il mare e rischiato la vita sugli scogli.
Ho fatto miliardi di rimbalzi.
Ho abitato ovunque, in una chiesa persino.
Ho dormito all’addiaccio. Sono stato abbandonato su un albero.
Sono stato conteso e litigato. Sono stato ostaggio e trofeo.
Ho subito minacce di morte.
Sono stato sbausciato, sputazzato, insultato.
Ho colpito schiene, volti, palle, palloni, muri, pali, arbitri e automobili.
E infranto vetri, a volte. E senza farmi beccare mai.
Ho assaggiato terra, asfalto, cemento, piastrelle, fango e pozzanghere. Qualche volta l’erba.
Sono stato lanciato, schiacciato, sbattuto, sparato.
Ho incontrato scarpe, stivali, alluci, sassi, ruote, mazze e racchette.
Sono stato calciato.
E ho fatto milioni di gol.
Futili, stupidi, banali. Ma anche splendidi, a volte.
Roba da televisione. Col replay, dico.
I gol con la carezza secca e dolce della rete che ti avvolge. Che quando c’è, la rete, è tutta un’altra cosa.
I loro nomi li so tutti a memoria. Ma non ho mai incontrato un calciatore professionista, mai.
Fino all’altro giorno. È arrivato il nuovo centrattacco sudamericano. Il mio padrone avrà sei anni e vuole un autografo. Mi tiene stretto e c’è confusione: persone, bambini, fotografi, polizia.
Ci avviciniamo, siamo a qualche metro. Ma mi spingono e io cado.
Rimbalzo in avanti, verso il campione con la penna in mano.
La folla si scosta appena, siamo io e lui. Sorride per i flash, piega il ginocchio e mi becca dal basso, di tacco.
Volo su a tre metri e poi scendo.
Sulle punte nere di un cancello in ferro.
Soffio e mi spengo piano.
Qualcuno mi recupera e mi porge al bimbo in lacrime.
Il campione, per consolarlo, mi marchia la schiena.
Bastardo.
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