venerdì 13 febbraio 2009

Ciao Onorevole !

I giornali, i TG e i Blog di oggi lo riportano: è morto Giacomo Bulgarelli, per molti, per tanti, la bandiera di Bologna.
Tutti i cinni della mia generazione avrebbero voluto la maglia numero 10 e molti di noi facevano a "tozze" con chi, benchè bolognese , credeva che il numero 10 fosse solo Rivera.
Tante parole si useranno questa sera per celebrare "Bulgaro".
Lasciamole tutte lì e pensiamo che dovunque sarà andato sarà stato accolto dalla voce gracchiante di megafono...
Salutiamo l' Onorevole Giacomino...








































lunedì 13 ottobre 2008

Gil De Ponti



Campionato 1977 - 1978, gli antichi fasti bolognesi sono solo un ricordo.
Forse la squadra risente del clima cittadino, completamente cambiato da quell' 11 marzo del 1977 in cui la polizia uccise lo studente Francesco Lo Russo.
Forse è solo la politica di cessione dei "buoni" intrapresa dal Presidente Luciano Conti e che ha portato una squadra che comunque veleggiava dignitosamente tra il V° e l' VIII° posto, a scendere fino al XII°.
Fatto stà che il pubblico è scontento.
Quell'anno arriva dal Cesena un nuovo centravanti: Gian Luca "Gil" De Ponti.
Ha fama di persona estrosa, che ama divertirsi e ballare nelle discoteche tanto che viene presto soprannominato "figlio delle stellle" dal titolo della canzone di Alan Sorrenti che và in quel periodo.
Gil De Ponti resta qui solo un anno lasciando il ricordo di sette gol, il primo dei quali fatto a San Siro all' Inter alla prima di campionato che darà al Bologna una insperata vittoria contro ogni pronostico.
Tornerà poi in città nel disastroso camionato 1982-1983.
Ma questa è una altra storia.
La storia di Gil è quella di un buon giocatore che, una volta ritiratosi gli viene diagnosticato un tumore alla testa. Da lì inizia la sua vera partita e una battaglia contro i troppi misteri e le omertà che hanno funestato l'ambiente calcistico con malattie e morti che diverse persone ritengono legate alle sostanze che si usavano in quei periodi.
In occasione della partita organizzata per uno di questi giocatori, Borgonovo, ecco le parole di Gil tratte da una intervista su Repubblica.







mercoledì 6 agosto 2008

Lo scudetto



Erano passati sei o sette anni dall' ultimo scudetto del Bologna e, non avevamo dubbi, presto ce ne sarebbe stato un altro. Era una questione di tempo, in fondo lo avevano vinto anche il Cagliari e la Fiorentina e non le solite Juventus, Inter o Milan.

Era una questione di tempo e avremmo fatto in tempo a rimanere cinni e a festeggiare i nostri eroi, esattamente come i nostri padri e i nostri fratelli maggiori festeggiarono gli eroi del 1963-64.

Di questi alcuni erano rimasti: Janich, Perani, Bulgarelli, memorie viventi e giocanti che il Bologna era stato veramente grande, grande davvero, anche se noi eravamo troppo piccoli per ricordarcelo.

Era solo una questione di tempo...


venerdì 4 maggio 2007

ASTUTILLO MALGIOGLIO


Per chi il calcio lo ricorda bene Malgioglio è stato, per diversi anni, la riserva di Zenga nell' Inter scudettata. Arrivò a Milano con la carriera seriamente compromessa a causa di un episodio che merita di essere ricordato. Malgioglio giocava nella Lazio (tra l'altro proveniente dalla Roma dove aveva fatto due stagioni) e, al di fuori del calcio, seguiva persone portatori di handicap.

Accusato di scarso impegno in campo, alcuni beoti laziali gli dedicarono uno striscione che recitava testualmente: "Tornatene dai tuoi mostri". Il portiere . al termine della partita contro il Vicenza, uscendo dal campo si tolse la maglia gettandola a terra e sputandogli sopra. Questo post è quindi un omaggio al coraggio di un uomo cresciuto calcisticamente nella Primavera del Bologna (con cui giocò un paio d'anni dal 1975 al 1977) e di cui riporto una intervista del tempo.

BRUNO PESAOLA

A metà degli anni '70 gli allenatori di calcio avevano ancora dei soprannomi. C'erano infatti il Patron Nereo Rocco e il suo palla avanti e pedalare; il filosofo Manlio Scopigno che vinse lo scudetto del Cagliari con Albertosi e Giggi Riva; il Mago Helenio Herrera e il Mago di Turi il mitico Oronzo Pugliese.


A Bologna c'era Bruno Pesaola detto "Il Petisso".
Io me lo ricordo in tuta blu mentre calcia cross per Savoldi durante un allenamento e poi mettersi a bordo campo, accendersi una sigaretta e chiaccherare con tifosi e giornalisti. Ma preferisco affidare un ritratto del personaggio ad un articolo scritto da Tony Damascelli, articolo secondo me straordinario per come descrive umanamente questo indimenticabile allenatore de rossoblù, che regalò anche diverse soddisfazioni al Bologna (Coppa Italia).
Buona lettura.
L a voce del piccoletto è appena un fiato, quasi un rantolo. All’inizio. Gli anni sono quelli che sono, per la precisione ottanta, bellissimi comunque. La voce, dopo una, due, dieci parole si stiracchia e si trasforma nella cantilena di sempre, furbastra, «estronsa». Bruno Pesaola è il piccoletto, traduzione nostrana di un più bizzarro «El petisso». Il fatto deriva dai suoi centimetri di statura, gli furono utili per fintare, dribblare e andare al cross. Poi gli servirono per nascondersi nel canneto, cioè in panchina, faceva finta, agitando il braccio sinistro, di invitare i suoi giocatori a portarsi all’attacco, ma con il braccio destro, tenuto basso, li minacciava di stare al domicilio di difesa. Alla vigilia di una partita del Bologna con l’Atalanta un cronista bergamasco gli chiese che tipo di tattica avrebbe adottato: «E sciocheremo alatàco, come seempre», spiegò il piccoletto di Baires. Il giorno appresso, i bolognesi si barricarono nella propria metà campo fino all’ultimo secondo per stabilire lo 0-0. Il cronista di cui sopra, avvampato nel volto, scaricò la sua rabbia sul Petisso: «Lei ci ha preso in giro, lei è venuto a Bergamo pensando che siamo stupidi, spieghi perchè allora il Bologna ha giocato in difesa, al contrario di quello che lei aveva detto!». Pesaola allargando la bocca a fetta di cocomero replicò: «E se vede che la Etalanta ci ha rubato la idea».Questo era, questo è ancora, a parte i graffi dell’età, i dolori che lo hanno costretto a rinunziare ai quotidiani quattro pacchetti di sigarette «soltanto perchè costano de più, etrooppo», al bicchiere di whisky «l’ho innaffiato», alle nottate al tavolo de la Sacrestia, con il golfo di Napoli alle spalle, l’acqua di mare davanti alla quale una notte disse a Josè e Omar, al secolo Altafini e Sivori: «Questa è come una vacca con tre tette, prendetene una, io mi tengo la più piccola e cercate di non litigare». Mettere insieme un argentino con la capa grossa, cabezon, e un brasiliano coniglio e furbo («avete mai visto un centravanti che non si sia mai fatto male nella sua carriera?»), metterli insieme non fu impresa facile ma il piccoletto ci riuscì, riuscì a vincere scudetto e coppa Italia, a Firenze, a Napoli, fece grandi cose con il Bologna, città che un po’ gli apparteneva, come Napoli del resto, per via di quel gusto per l’ironia e il perfido sarcasmo. Quando il Bologna le buscava, Pesaola correva alla porta dello stanzone dello spogliatoio, appoggiandosi con una mano allo stipite opposto, creando una specie di arco basso sotto il quale per forza i calciatori sarebbero passati e qui li apostrofava: «E complimèèènti Bulgarelli, e complimèèènti Perani e complimèèènti Fedele». I flagellati chinavano il capo, cornuti e mazziati. Questo era Bruno Pesaola, uomo di football senza essere stato un campione, venuto dall’Argentina («Avevo 21 anni») dove i suoi parenti erano emigrati da Montelupone, terra di Macerata. Suo padre era un calzolaio, di nome faceva Gaetano, sua madre di La Coruna portava un nome dolce, Inocencia; l’unione lo rese «oriundo». Ai contemporanei che bevono il calcio in tivvù segnalo che il Petisso ha vissuto con Piola e Schiaffino, Valentino Mazzola e Di Stefano, Pelè e Maradona, e dunque quando lo senti parlare, mentre i suoi occhi roteano e sono olive nerissime, rivedi dribbling e gol, colpi di testa e tacchetti sulle gambe come quelli di Gimona, una brava persona del Palermo che ruppe tibia e perone al Bruno costringendolo a mollare la Roma che lo aveva accolto dall’Argentina. Erano anni di dolori. Pesaola ricorda che per lui, come per mille altri argentini e sudamericani del tempo, l’Italia era il paese della povertà: «Oggi la realtà si è invertita».
Fece il viaggio al contrario con mille scali, si assicurò lo stipendio della Roma («120mila al mese più i premi, tutti esentasse, il salario di un operaio specializzato era di 30mila») in anticipo per versarlo alla madre perchè finisse di pagare la casa, dopo che Gaetano se ne era andato al Padre Eterno. Quando papà Gaetano venne raggiunto da Ornella, moglie del Bruno, cambiò davvero l’esistenza di Pesaola, solo e solitario, con le sue mille sigarette, il whisky, il golfo di Napoli, l’unica voce amica di Roberto Diego, figlio e filosofo e regista. Ottanta anni non sono stati inutili, il Petisso agita il braccio sinistro, invita ad
andare all’attacco, con il destro aspetta di chiudere la porta: «Il Padre Eterno prima o poi mi convocherà. Ma mica soltanto il sottoscritto». Sento il profumo di tabacco e di whisky.
Tony Damascelli

Per l' esattezza Pesaola fece l'allenatore del Bologna per 4 anni consecutivi ottenendo due 6° posti, un 7, un 8 e una Coppa Italia Dopo una pausa a Napoli ritornò sotto le due torri per due anni ma con squadra un po' più scarse.

lunedì 23 aprile 2007

Tazio Roversi



Qualcuno sà dirmi per quanti anni Tazio fù indentificato come il terzino rossoblù ? 10, 100, 1.000 forse ? Non è impossibile e nemmeno improbabile perchè la sua capigliatura bionda, sempre uguale nel corso degli anni, la ricordo correre sulla fascia alla sinistra del portiere, a prendere la palla all'attaccante avversario prima che fosse troppo tardi, ad avanzare appoggiando al centrocampo o, nei momenti di patema, a buttarla là davanti alla viva il parroco. Nelle formazioni che noi cinni recitavamo meglio di qualsiasi poesia che la scuola di allora ci imponeva a memoria, cambiava l'inizio (Vavassori, Adani, Buso Battara...) , cambiava un altro fattore (Fedele, Rimbano...) ma poi c'era Roversi.
L'uomo che aveva lo stesso nome di battesimo di Nuvolari, simbolo di estro e velocità, e che però correva il giusto arrivando comunque sempre puntuale al contrasto. Roversi, punto fisso di ogni formazione di quel mitico Bologna e gemello di Cresci, altro pilastro dell'epoca e ultime barriere tra la palla e il portiere di turno.
Roversi che sembrava un tedesco, Roversi che faceva gl scherzi a noi raccatapalle durante gli allenamenti, Roversi che entrava duro sull'avversario e poi, a sorpresa, si faceva fotografare con il figlioletto in braccio.
Roversi e quando i terzini erano terzini...




giovedì 19 aprile 2007

GIUSEPPE VAVASSORI


Quando in cortile ti mettevano in porta voleva dire che eri uno sfigato.
Io che avevo i piedi quadri e i miei calci finivano spesso in cortili vicini, sui vetri dei piani rialzati e dovunque tranne dove dovevano andare, in porta ci stavo spesso.
Ma non mi interessava più di tanto , perchè, prima di Buso, il Bologna aveva Vavassori.
Era il tempo che i portieri vestivano di nero o, al massimo, di grigio. e ricordo che nel Bologna c'era questo personaggio in nero che se ne stava tra i pali e poi, magicamente, volava all'incrocio e dava uno schiaffetto alla palla buttandola oltre alla traversa.
Vavassori la cui figurina ondeggiava tra il Bologna e il Catania con Rino Rado e facendomi credere (anche per via dei colori) che ci fosse una specie di gemellaggio tra le due città.
Vavassori che uno dei "grandi" del cortile, sfegatato milanista, mi disse: se dovessi cambiare Cudicini lo cambierei solo con il vostro.
Vavassori, portiere in una era in cui i portieri erano un Zoff napoletano, Albertosi, Vieri, Superchi, Castellini, Pizzaballa e che avevano numeri 12 come Bordon poi titolare della Nazionale. Vavssori in una era di portieri dove potevi uscire senza il dogma del rigore e dove parare con ilpiede era una onta come un gol.
Vavssori che andava negli angoli alti con la leggerezza che rividi poi in un altro sport ad un certo Jordan-
Vavssori che in una interivsta alle vecchie glorie rossoblù confessò il suo cruccio di carriera: non essere mai risucito a parare un rigore.

 
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