Silvana GHIAZZA

“Carlo Levi e Umberto Saba – Storia di un’amicizia”

Edizioni Dedalo – Bari 2002 -  Euro 6,50

                                                            

Carlo Levi, ritratto di Umberto Saba olio su tela

 

UMBERTO SABA VS. CARLO LEVI

 

            Trieste città di confine; Trieste città di cultura, una cultura oramai quasi dimenticata, divenuta oggi, purtroppo, cultura di provincia; Trieste città dalla storia complicata e complessa; città che ha vissuto la drammatica imposizione di un esodo violento, quello della gente istriana; laboratorio di comunicazione tra culture diverse; culture emerse come pure di culture nascoste che diventano emergenti come le sue etnie. E l’emergere diventa emergenza ideologica, la comunicazione si interrompe, e prorompe la patologia, sia quella politica, che quella umana, quanto quella culturale; città talmente nevrotica da essere laboratorio psicoanalitico.

Anche Torino, città forse simile a Trieste, se non proprio di confine, è città comunque decentrata, città che ha vissuto anch’essa un esodo, meno drammatico ma pur sempre doloroso come quello dell’immigrazione delle genti del sud, anch’essa laica, anch’essa ricca, sicuramente meno nevrotica, più sicura di se stessa, comunque adagiata anch’essa in un mito, quello della aurea magica di Torino città del mistero.

La rappresentazione di Trieste e di Torino è impersonificata nelle figure di Carlo Levi e di Umberto Saba. Il rapporto tra due città, il rapporto tra due culture, il rapporto tra fuggiaschi da un potere altrettanto patologico, è bene rappresentato dal recente studio della Professoressa Silvana Ghiazza nella sua ultima fatica  “Carlo Levi e Umberto Saba – storia di un’amicizia –“: libro che mette a nudo l’umanità dei due illustri personaggi, ma anziché incorrere nel pericolo di smitizzarli, ne estrapola la loro profonda e straordinaria umanità provocandone l’effetto opposto rendendoli così ancora più mitici.

Saba e la sua storia: ogni triestino, credo, ha un debito nei confronti della propria storia, della propria letteratura, in definitiva della propria cultura, quindi debito nei confronti della propria identità, forse troppo riconosciuta nel mito della Mitteleuropa, e proprio perché mito dal significato inspiegato.

Traspare dal libro come l’esasperato ma solare, “olimpico” (aggettivo di sabiana cognizione) egocentrismo leviano, sicuramente risolto, viene tenuto a bada dal paternalismo nevrotico di Saba, in un rapporto classico di amore – odio, di vittima – carnefice, come già esistente nel rapporto con la figlia Linuccia. Come pure emerge il genuino interesse di Levi per la straordinaria poesia di Saba che vede generata dall’Angoscia cosmica, da quell’angoscia ontica che è stata il motore culturale del novecento. Pur sollevato dalla propria condizione, Levi è comunque sempre stato in contatto con la sofferenza, ne ha sempre condiviso la storia, esorcizzandola nelle tinte espressioniste delle sue tele, ovvero descrivendone con efficace prosa, la secca quotidianità. E nella lettura critica della poesia di Saba, Levi esalta il motore dell’angoscia a estremo teorico dell’ermeneutica sabiana, apice costitutivo della triologia lineare  (stile, testa e cuore): la tecnica scompone l’opera d’arte la quale, se compiuta, la costituisce retta intersecante dei tre valori riuniti nell’unità simbolica, sola, capace di ricomporre a sé le perdute unità di poeta e lettore nella totalità cosmica, “riportandoci cioèall’oscuro grembo del mondo” nell’agognata unità atemporale.

In realtà Saba combatte con tutte le forze contro il”male di vivere”, contro il peccato originale che è l’essere nato, “fedele fino in fondo a una tensione ideale” poiché, come lui stesso afferma: “il male/sempre al bene rivolge


            Emerge da questo libro la storia di un rapporto conflittuale, a volte crudele, dalle tinte sadomasochistiche, ma di sicuro pregne di affetto e di stima reciproche; in fondo non incompatibili, bensì complementari, i due, apparentemente così diversi, intimamente così uniti e vicini, legati in uno slancio poetico teso al raggiungimento di valori positivi, eticamente fondanti. Tanto che il vate triestino, in una sorta di testamento spirituale, lascerà solo a Levi il compito di curare la propria opera per le pubblicazioni successive alla sua dipartita

Il testo, non difficile ma nemmeno ameno, si situa a metà strada tra il libro colto e quello semplicemente divulgativo: una difficile scelta ben gestita dalla Ghiazza. Esso è suddiviso in tre parti; la prima si divide in due capitoli paralleli e complementari che raccontano i rapporti di Levi vs. Saba e viceversa, ricco di citazioni ma comunque scorrevole che riporta uno spaccato di vita vissuta con l’utilizzo di epistolari e documenti spesso inediti. La terza parte più strettamente documentale è sicuramente utile per scoprire e conoscere il sincero pensiero di Levi nei confronti di Saba. E’ nella parte centrale del libro che la Ghiazza in un crescendo analitico esplode in una visione esplicativa di Saba uomo e poeta; forse la parte migliore che va letta tutta d’un fiato nella condivisione catartica della vittoria del bene sulla sofferenza.

Il libro va letto da chi non conosce Saba, perché te lo fa scoprire, conoscere, legandoti intimamente alla sua angoscia ma anche alla sua battaglia di liberazione; va letto da chi ha conosciuto Saba perché è sicuramente un libro che lo spiega, lo analizza, lo fa uomo e lo fa mito, lo specifica, riportando all’attenzione le sue sfaccettature dandoti la possibilità di riscoprirlo. [*]

 

(A Trieste avremo la possibilità di assistere alla presentazione del volume il giorno venerdì 13 giugno alle ore 18.00 presso la Biblioteca Statale di Largo Papa Giovanni XXIII con l’organizzazione della Fondazione Regionale per lo Spettacolo del Friuli Venezia Giulia – sarà presente l’autrice)

 

[*] ripreso in estratto dal quotidiano "Il Piccolo" venerdì 13.06