Torino

LA STORIA

Quel discolo di paese diventato monsignore

Il cugino di Nosiglia: "Nato a Rossiglione perché eravamo sfollati". A Scajola non piaceva come vescovo a Genova
E a Campo si riapre una disputa di campanile

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CAMPO LIGURE - Ci rimangono male, a Campo Ligure, quando sentono dire che monsignor Cesare Nosiglia, neo-arcivescovo di Torino, è di Rossiglione.

"Se è nato lì è per colpa mia ricorda il cugino Paolo Bottero, preside in pensione e storico locale - Era l'autunno del '44 e a Campo Ligure il poco latte disponibile finiva alla famiglie dei maggiorenti. Avevo appena un anno e mia zia Anna era praticamente agli ultimi giorni di gravidanza. Finimmo sfollati al Bric del Vento, una cascina di Rossiglione della famiglia Nosiglia dove si poteva contare sul latte di due mucche. Eravamo appena arrivati quando mia zia ebbe le doglie e poco dopo nacque Cesare. Dieci giorni dopo però tornavamo già a Campo...".
Così il piccolo Cesare a cui è stato dato il nome dello zio marinaio morto nel dicembre '42 sull'incrociatore Montecuccoli durante il bombardamento del porto di Napoli è ancora in fasce quando torna nella vecchia casa del Carugiu Snestru (vicolo sinistro), nel cuore di Campo Ligure, un borgo di appena tremila anime che però dal 1400 è un vivaio privilegiato per il seminario di Acqui Terme. E' una terra di mezzo, quel paese, ai piedi del Turchino e ad un passo dal Piemonte. Fiero della sua appartenenza all'Impero Asburgico, ha cercato invano di sfuggire al dominio della Repubblica di Genova che nel 1600 però lo ha incendiato vincendone la resistenza. Le dieci famiglie che contano fanno a gara per avere un prete in famiglia. Per la maggioranza degli abitanti che campano malamente lavorando nelle fucine invece Campo Ligure, che è verde e piovoso come l'Irlanda, è il paese delle tre effe: fame, freddo e fumo. I comunisti sono pochi e relegati in un quartiere che, nel dopoguerra, prenderà il nome di "Piccola Russia".

Nelle storie locali, scritte attraverso i diari dei parroci, non troveranno mai posto. Sono comunisti anche i Nosiglia, famiglia di falegnami che per la loro perizia si sono fatti un nome in tutta la Valle. Uno zio del ragazzo destinato a salire le gerarchie ecclesiastiche nel dopoguerra sarà addirittura vicesindaco di Rossiglione, il paese vicino dove la sinistra alle urne ha risultati bulgari. Cesare e Paolo, il cugino più grande, sono però sempre in parrocchia. "Servivamo messa alla sei del mattina, la prima - ricorda Paolo - eravamo i chierichetti più solerti". Sono anche un po' discoli e il sacrestano (il leggendario Mentin) dopo essere stato chiuso da loro in un confessionale li etichetta come "banda di bindolotti". Chiesa, ma anche famiglia. Di certo per il futuro arcivescovo di Torino conta molto l'esempio del padre Giuseppe, operaio alla Piaggio. Uno che quando finisce in un rastrellamento dei tedeschi ha la prontezza di spirito di nascondersi addosso una lima prima di essere caricato sul carro merci che dovrebbe portarlo in Germania e a Ronco Scrivia è già libero. Di lui (deceduto nel 2009) monsignor Nosiglia certo si ricorda quando compare a sorpresa tra gli operai di una fabbrica che si battono contro il trasferimento dell'azienda in Romania e dice: "So cosa significa lottare per il lavoro, la mia è una famiglia di operai...".

Il primo ad approdare al seminario di Acqui Terme è però il cugino Paolo che però poi preferirà l'insegnamento. Don Cesare vi arriva insieme ad un coetaneo, don Mario Oliveri. Il vescovo di Acqui Terme, Giuseppe Dell'Omo, si accorge subito che sono cavalli di razza. Diventeranno entrambi vescovi, don Mario guida la diocesi di Albenga. Medie, liceo classico in seminario poi un anno di propedeutica a Rivoli, qualche mese da viceparroco a Santena e infine quattro anni di Teologia alla Lateranense dove don Cesare fa l'incontro fondamentale con monsignor Scola, patriarca di Venezia. Ogni estate torna a Campo Ligure dove può tornare l'adolescente che è. Gli piace fare l'allenatore, forma una squadra nel circolo parrocchiale. Per le trasferte nei paesi vicini ricorre all'autostop: si piazza sul ciglio della strada e quando un'auto si ferma per dare un passaggio ad un pretino a piedi lui fa salire i ragazzi nascosti dietro i cespugli, in una versione da oratorio della Claudette Colber di Accadde una notte. Nel suo ufficio nella Curia di Vicenza al centro delle foto che la ritraevano con le più importanti personalità della Chiesa aveva quella dei ragazzi del Circolo di Campoligure. L'altra sua passione è quella per la montagna, ereditata dal padre fiero del suo passato tra gli alpini della Julia. Si dice che quando al posto di Vicenza gli hanno offerto la diocesi di Cagliari, più consona al suo rango abbia risposto: "E per andare in montagna che faccio? Prendo l'aereo?".

Dopo gli studi di altissimo livello nel '71 è assegnato all'Ufficio Catechistico della Cei di cui diventerà direttore. Ed è in quel momento che nasce il suo sodalizio con Ruini. Così il giovane che per mantenersi all'Università Pontificia aveva fatto il viceparroco nella parrocchia San Giovanni Battista del quartiere Appio, scala rapidamente le gerarchie ecclesiastiche sino a diventare vescovo ausiliare di Roma. Nel '97 è a capo del comitato organizzativo del Raduno Mondiale della Gioventù che nel 2000 porterà a Tor Vergata due milioni di giovani. Sta per diventare vescovo di Genova ma l'opposizione di Claudio Scajola ("ad una riunione di Forza Italia qualcuno urlò che stava per arrivare un vescovo comunista", ricorda un amico) e le trame vaticane gli fanno preferire monsignor Bertone. Lui comunque a Campo Ligure torna sempre. Più diventa importante, più diventa schivo. "Spesso evita di passare dalla piazza, ma quando lo incontri è sempre don Cesare, come quando era ragazzo", sottolinea Gianmario Olivieri, vicesindaco di Campoligure e suo cugino.