L'EDUCAZIONE

di Francesco Bertoldi - Culturanuova.net - Culturacristiana.it

Mons. Luigi Giussani, come molti sapranno, ha sempre dedicato un interesse particolare ai giovani, insegnando dapprima nelle scuole superiori (al prestigioso Liceo Berchet di Milano) e poi nell’Ateneo di padre Gemelli. Le sue lezioni universitarie sono sempre state affollatissime, segno ulteriore che i giovani percepivano nel sacerdote di Desio tanto una ricchezza umana carica di fascino, quanto un rigore logico e una capacità di rileggere, alla luce esistenzialmente gustosa della proposta cristiana, argomenti che normalmente a livello scolastico sono trattati in modo noioso e freddo.
L’opera che la SEI ha pubblicato è la ripresa, decisamente ampliata, di un testo dal medesimo titolo apparso nel 1977. Giussani vi condensa una efficace sintesi di un metodo educativo maturato in quasi quarant’anni di insegnamento e di rapporto con giovani. In effetti ciò che balza più all’attenzione del lettore è una simbiosi molto stretta tra il vissuto magisteriale di don Giussani e la sua riflessione teorica. Quest’ultima, pur senza alcuna preoccupazione di mostrare una analiticità di riferimenti bibliografici, è condotta con robusta consequenzialità logica, ma al tempo stesso ogni frase vi riverbera la ricca esperienza dell’educatore, che trae da una mole notevole di casi particolari il suo giudizio. Ne deriva, tra l’altro, una rara efficacia comunicativa, nel senso che ogni frase dell’autore è volta non a convincere il lettore di una tesi puramente teorica, astrattamente accademica, ma a muoverlo ad una operatività concreta.
Una delle tesi centrali del discorso di don Giussani è che non si può dare una educazione neutrale. Una tesi come questa deve essere capita nel suo valore di non-ovvietà, all’interno stesso del mondo cattolico. Che cosa significa infatti che un’educazione non può essere (e dunque non deve pretendere di essere) neutra? Che è impossibile che il soggetto educante (genitore, insegnante, o qualsiasi altra figura "autorevole") non trasmetta qualcosa di più di argomenti analiticamente circoscritti, che è impossibile che non trasmetta cioè un po’ di quello che lui è in rapporto alla vita, al senso ultimo della vita : "educare è comunicare sé stessi". Per il fatto molto semplice che è impossibile che un educatore (come qualsiasi essere umano del resto, ma con un impatto amplificato sull’animo di un ragazzo) non comunichi sé stesso. Se la neutralità è impossibile è negativo pretendere di pianificarla, come purtroppo si fa, anche con il consenso di operatori scolastici di ispirazione cristiana. Una tale pretesa è infatti una innaturale finzione, e produce non solo una schizofrenia nel soggetto educante, che deve censurare ciò che più gli dovrebbe stare a cuore, ma, ciò che non è meno grave, una situazione di instabilità e di insicurezza nel giovane, che viene spinto a credere che non siano possibili certezze.
In effetti il corollario pratico che viene comunemente tirato dall’idea di una educazione neutra (o, che è lo stesso, di una "pura" istruzione separata dall’educazione) è che un ragazzo deve "sentire più voci", per farsi un’idea critica della realtà e del senso della realtà. Un’educazione esplicitamente orientata da una certa visione-del-mondo invece sarebbe una violenza fatta al discente, ne coarterebbe la libertà imponendogli la pesante cappa di un indottrinamento preconfezionato. Giussani mira a smascherare il sofisma implicato in tale tesi, a partire anzitutto dall’idea che la vera criticità non consiste in un mero esercizio dialettico del pensiero, ma si nutre in un paragone esistenziale concreto. Non è perciò confrontando col puro pensiero, a un livello insomma puramente logico-concettuale, diversi orientamenti globali sul senso della realtà, che un giovane può farsi un’idea corretta di quale di essi sia quello giusto. In tal modo anzi si formerebbe inevitabilmente in lui la convinzione che tutti gli orientamenti si equivalgano, dunque un esito di scetticismo, ovvero l’idea che valga la pena abbracciarne uno senza però delle motivazioni adeguate (in modo perciò ideologico e tendenzialmente fanatico). Il criterio corretto è invece, per il sacerdote di Desio, un paragone tra la proposta (di spiegazione globale del senso della realtà) e la propria vita: solo nella vita, solo in una esperienza di coinvolgimento esistenziale è possibile raggiungere la certezza circa il senso ultimo. E di proposte non se ne possono esistenzialmente sperimentare più di una...
Per capire comechi non conosca direttamente l’esperienza di cui Giussani è stato iniziatore una simile posizione non porti a un soffocante monolitismo, bisogna riflettere sul fatto che la sua impostazione porta Giussani a proporre sì una chiarezza di identità, ma proprio per il suo carattere aperto ed esplicito si tratta di una proposta, che si rivolge alla libertà; a ledere la libertà è a ben vedere un tipo di impostazione educativa che fingendosi neutrale, in realtà mira a imporre una ben precisa visione. Se non altro la visione scettica, per cui non è possibile una certezza, ma solo la constatazione che esistono una molteplicità di visioni-del-mondo che si contraddicono tra di loro.
In secondo luogo nel metodo di don Giussani alla chiarezza delle identità si associa una volontà di valorizzare il più possibile quanto di vero e di umano è presente anche in posizioni non cattoliche e non-cristiane (basta leggere il Senso religioso, per vedere come egli citi autori come Leopardi, Pavese, Kafka, Evtuscenko, Montale).
Non possiamo qui ripercorrere tutto l’itinerario che Giussani svolge nel suo libro. Possiamo dire in sintesi che ciò che più emerge è la sua preoccupazione di far sì che i giovani possano incontrare una proposta cristiana forte, integrale, non riduttiva. In altri termini è meglio una proposta chiara e precisa, che interpella la libera scelta del giovane, che non una sotterranea instillazione di valori vagamente ispirati al Cristianesimo, lasciando la dimensione della fede come un implicito da guardare da lontano. Va comunque aggiunto che sarebbe estremamente riduttivo risolvere il discorso di Giussani in una difesa della scuola privata di ispirazione cattolica in quanto tale. Il problema da lui posto va ben oltre tale questione particolare, e interpella anzitutto genitori e educatori, nella loro libera responsabilità e in qualunque situazione si trovino a operare. Non può certo bastare infatti, e al limite non è strettamente indispensabile, una struttura istituzionale, ma occorre anzitutto e soprattutto che il soggetto educante si metta in discussione. In rimo luogo, e questo è un altro essenziale punto che sta a cuore a don Giussani, non sta un problema di tecnica, di strategie pedagogiche : in primo luogo sta la persona dell’educatore. Nel senso che La loro proposta potrà interessare e affascinare i discepoli, solo se avrà prima interessato, appassionato e affascinato loro stesso. E anche questo suggerimento, in un’epoca in cui le scuole sono sommerse da una miriade di "progetti", tutti volti a sezionare analiticamente la personalità del giovane, e da condurre in base a una professionalità "puramente tecnica", va a colpire in pieno dei presupposti oggi dominanti, che non stanno certo facendo rifiorire la scuola e l’educazione.
Un libro stimolante, dunque, che non può lasciare indifferente chi lo legga ed abbia qualche conoscenza del problema educativo come si pone concretamente oggi.