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Il volto bello del calcio: un pomeriggio con Gigi Riva a Cagliari

la presse
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Sono tempi amari e confusi per il calcio. La disfatta della nostra nazionale al Mondiale, tra veleni e polemiche, un "movimento" che si è fermato a cinquant'anni fa, per non parlare di violenza, razzismo, la mancanza di una cultura sana del football. Giocatori che vivono in mondi "virtuali" e non "reali". Allenatori che vanno e vengono, il marketing che ha sostituito il dribbling, persino il Brasile ha perso le sue radici, la sua essenza, la sua estetica. Ma esiste ancora la memoria, l'età del romanticismo, quando i campioni sostituivano, nell'immaginario fanciullo, gli eroi salgariani, un tempo calcistico che resterà per sempre, come il V Secolo di Atene, dove scendevano in campo Pericle, Socrate, Eschilo, Sofocle, Euripide e altri fuoriclasse ad illustrare la filosofia, la scienza, il teatro e la democrazia.

Ieri 17 luglio sono andato a Cagliari, con mio figlio Santiago tifosissimo della squadra rossoblù, da quest'anno allenata da Zeman, per un convegno benefico: "Le maglie del Prof" all'Exmà, organizzato da Daniele Cortis, con la collaborazione della moglie Rita, in onore del padre Ermanno, per anni figura di riferimento della federcalcio e collezionista di casacche. La mostra, per gli appassionati, è imperdibile: c'è persino la maglia numero 10 donata da Pelé a Riva dopo la finale di Città del Messico del 1970, finita 4-1 per la Seleçao. Il dibattito serale, moderato dal competente e ironico giornalista Alberto Urgu, con me e il cronista genevose Paolo Bertuccio, è stato all'insegna delle storie del calcio. Sono intervenuti anche l'ex attaccante cagliaritano David Suazo, un ex corrispondente di Tuttosport, per cinquantacinque anni, Piero Caravano, oggi un giovanotto di novantadue anni e il bravissimo Fabrizio Serra, dirigente del club isolano. Ma qualcosa di particolare era accaduto qualche ora prima. E questo è il racconto di un momento diventato indimenticabile.

Santiago è diventato del Cagliari (malgrado i miei tentativi di farlo appassionare alla Juventus) per via dei nonni materni, Pietro e Grazia, della Barbagia. Nella loro casa Riva era ed è un santino, era ed è giggirriva. Mio figlio aveva sentito una sola volta Riva al telefono, che lo aveva tranquillizzato sul fatto di essere mancino: "Non preoccuparti, storti sono gli altri non noi!". Da quel momento, il breriano Rombo di Tuono era diventato il suo eroe, un modello di riferimento: "Papà, ha rifiutato i miliardi della tua Juve per restare nella nostra Sardegna. Lo vorrei conoscere, un giorno...".

Ed eccolo arrivare, quel giorno. Daniele Cortis mi dice di aver sentito Riva, si trova a Cagliari ed è nella sede, in qualità di presidente, della scuola calcio che porta il suo nome... Lo fermo: "A lungo, da cronista e inviato speciale, ho frequentato Gigi. Siamo in ottimi rapporti. Mi piacerebbe fargli conoscere Santiago, puoi richiamarlo?". La telefonata, due parole: "Veniamo subito". Rivolto a me: "Per te c'è sempre!". E vi lascio immaginare l'emozione di mio figlio.

Riva ci accoglie nella sede della sua scuola calcio (fondata nel 1976), al primo piano di un edifico nel centro storico. È in forma, sorridente, ancora, in tutto e per tutto, un hombre vertical. Il campione e il giovane beniamino si abbracciano, le foto, le battute: "Mi raccomando Santiago, devi essere tu il mancino che raccoglierà la mia eredità in Nazionale". Poi, il discorso scivola sui tempi belli del football, di quando Giggirriva era amato da tutti, tifavi per Anastasi e per Riva, per Altafini e per Riva, per Pulici e per Riva, per Rivera e per Riva, per Mazzola e per Riva. Perché Gigi era universale, ti colpiva la sua vicenda umana, il suo coraggio, la sua bravura, la sua potenza. Boniperti per averlo in bianconero offrì un pacco miliardi e otto giocatori, tra questi, in prestito o in via definitiva, Gentile, Bettega, Mastropasqua, Musiello. Gigi, però, disse no: "Non mi piace il mercato, non sono una bestia da vendere. Questa terra è la mia terra. I pastori sardi mi adorano e io adoro loro". L'ufficio di Riva è piccolo, ma strapieno di fotografie, caricature, c'è lui bambino a Leggiuno, in provincia di Varese, dove è nato, lui all'apice della gloria, lui con i suoi compagni dello scudetto del '70. Io, Santiago, Cortis e Bertuccio lo stiamo ad ascoltare: perché sono le parole e le riflessioni di un gigante del pallone, di uno che è stato folgore e meraviglia, acciaio e bellezza. Le parole di un saggio, di chi ha vissuto e onorato il calcio e che ancora adesso è considerato, giustamente, il più grande azzurro di tutti i tempi. Ci salutiamo, con la promessa di rivederci. Santiago è raggiante: "Che bella giornata, pà! È nato mio cuginetto Leonardo e ho stretto la mano a Riva". Cagliari sorrideva nell'azzurro abbagliante del suo cielo rinnovato.

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