“Più di trent’anni fa, per aver descritto l’Italia contemporanea Pier Paolo Pasolini venne
infilato in una busta di cellophane quasi fosse il reperto di un delitto ed etichettato come
decadente. La sua morte cruenta completò l’opera di rimozione. Nel frattempo i suoi libri
hanno invaso i mercati specie giovanili di tutto il mondo, lasciando in Italia una strana scia
di dubbi. Se aveva torto, qual è il motivo del suo perdurante fascino intellettuale e poetico?
E se aveva ragione, se non se ne parla è forse proprio perché aveva ragione? (...)
Metto in scena il mio malessere per una degenerazione che ha decisamente
oltrepassato il concetto pasoliniano di mutazione antropologica: allora lui lo trasfigurava
poeticamente, oggi è la didascalia di ogni tipo di cronaca quotidiana. Ma poiché si tratta
pur sempre di noi come materia prima, prima di essere ingoiati dalla palude forse va
tentata qualche operazione di bonifica. Almeno a teatro…”