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Ettore Scola scrive a Pietro Ingrao
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In occasione della pubblicazione del film di Filippo Vendemiati 'Non mi avete convinto'
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15/05/2016
nanus_10
Cultura
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Caro Pietro,
ho visto il documentario "Non mi avete convinto" in edicola da domani con l’Unità. Il regista, Filippo Vendemmiati, è riuscito con tua figlia Chiara e tua sorella Giulia a farti parlare della tua passione di vita, della tua curiosità, dei tuoi dubbi....
Spero che tanti giovani ascoltino il tuo racconto. Nel quale però la modestia ti impedisce di parlare della forte influenza che hai avuto sulla mia generazione: su quelli che tu hai convinto. Mentre si concludeva la seconda guerra mondiale noi uscivamo dall’adolescenza; non eravamo andati in guerra, non avevamo combattuto il fascismo, né partecipato alla Resistenza.
Il nostro presente era confuso come tutti i presenti, il nostro futuro nebbioso. Consumavamo la nostra inquietudine di studenti in camminate notturne che si protraevano fino all’alba, infiammate da inesauste discussioni sui libri letti, di Calvino e Camus, di Hemingway e Saroyan, sui film visti, di De Sica e Renoir, di Ford e Capra, sui duelli di Bartali e Coppi, sul confronto tra Nenni e Togliatti, sul Fronte Popolare. Già. Qualche risposta all’ansia di capire, cominciavamo a trovarla nel Pci e nei nomi dei suoi leaders che già erano affiorati dalla guerra di Spagna, dal confino politico, dalla lotta partigiana. E tra i grandi contemporanei protagonisti della seconda metà del secolo ventesimo, quello che sentivamo più vicino a noi eri tu.
Di soli quindici anni più grande, meridionale come me, svogliato studente di giurisprudenza come sarei stato io, dopo esserti iscritto al Centro Sperimentale di Cinematografia, eri approdato alla vita pubblica, distinguendoti tra i più sensibili al rapporto che c’è tra cultura e politica, tra la realtà che vivevo e quella che veniva rappresentata nella letteratura nella poesia nella pittura nel cinema. Ti avevo già conosciuto sulle pagine di Cinema, dove scrivevi con De Santis, Puccini, Lizzani, Pietrangeli, autori dei quali sarei diventato in seguito amico e collaboratore.
Sergio Amidei, lo scrittore dei grandi film di Rossellini e De Sica, che accoglieva nella sua casa in piazza di Spagna le riunioni della direzione del Partito comunista clandestino, mi raccontava che nel ’44 eri andato con Mario Alicata a mostrargli la prima bozza dell’Unità che portava la notizia di «una donna romana uccisa dai tedeschi davanti al suo bambino»: quel giorno tu consegnasti a Amidei l’idea di una delle pagine più belle del cinema mondiale, la corsa di Anna Magnani che viene abbattuta da una raffica di mitra. Ti avevo spesso ascoltato nella folla che assisteva ai tuoi comizi, e lì si colmò la misura del mio innamoramento: perché tale fu il sentimento che da allora mi ha legato a te.
Davanti ai cancelli della Fiat (il mestiere che facevo mi aveva portato a Torino, a seguire la vicenda di un ragazzo che emigra dal sud e da contadino diventa operaio) ogni lavoratore dell’autunno caldo parlava di te come di un suo amico personale, tutti ti chiamavano solo «Pietro», tutti erano tuoi innanorati. Per le elezioni europee del ’79 accompagnai come buttafuori Giorgio Amendola nel suo giro elettorale in Irpinia che è la mia terra; ad Avellino, il viale dei Platani era gremito di miei conterranei accorsi per sentire Pietro venuto da Roma a concludere la campagna di Amendola. Parlasti di fatica, di umiliazione, di solitudine.
Parlasti al contadino che torna la sera dal lavoro nei campi, tenendo il figlioletto per mano, e quando incontra il padrone a cavallo si toglie la coppola. Anche il piccolo stava per scoprirsi il capo… ma nella piazza echeggiò il terribile «No» che tu gridasti dal palco per bloccare a mezz’aria il gesto di soggezione del bambino. «No, tu no, non devi inchinarti davanti al padrone; tuo padre con tutti noi difenderà il tuo diritto al lavoro e alla tua dignità».
Io credo che quel contadinello con la coppoletta ti sia rimasto dentro insieme con altri bambini che hanno accompagnato anche il nostro immaginario: il monello dell’immenso Charlot; il piccolo ebreo del ghetto di Varsavia - anche lui con la coppoletta, come gli altri due - con le braccia alzate in segno di resa davanti al soldato nazista che gli intima l’alt; il chierichetto piangente accanto al corpo della madre in Roma città aperta; l’orfanello in kepì mantellina bianca che guida il girotondo del finale di 8 e ½. Tutti quei fanciullini dentro di te non ti hanno voluto scrittore o regista o poeta a tempo pieno e ti hanno portato da un’altra parte, verso una politica che era un altro pensiero poetico.
Non mi avete convinto di Vendemiati
Da L'Unita
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