La poliedrica vita di Felice Malgaroli è difficile da tratteggiare. Qualsiasi cenno biografico o aneddoto legato alla sua frequentazione e amicizia rischierebbe di oscurare un aspetto altrettanto significativo delle varie età che ha frequentato con profondità e leggerezza insieme.
Mi affascina ancora oggi l'assenza totale di "reducismo" per le sue mille avventurose vite.
Nella Prefazione ad uno dei suoi libri ( Domani Chissà - L'arciere - Cuneo - 1992) Norberto Bobbio, non uno qualunque, scriveva: " .... Mi parvero subito quelle pagine un bell'esempio, bello e raro, di scrittura di un non scrittore, che ha molte cose vive da raccontare, e le racconta con uno stile sobrio, scarno, senza una parola di troppo, efficace nella sua concisione, ammirevole nella capacità, che è propria del buon osservatore, di distinguere, narrando un fatto o descrivendo una persona, ciò che è rilevante da ciò che non lo è.
Il racconto autobiografico accompagna l'autore soltanto sino al ventottesimo anno, ma sono gli anni decisivi per la sua formazione e per la storia del nostro Paese, dal fascismo trionfante al consolidamento della repubblica. La nascita in un grosso borgo dell'Italia del Nord da una famiglia antifascista, prima il nonno e poi il padre al confino, un padre che conoscerà solo quando sarà grandicello; poca scuola e molta retorica patriottica e imperiale. La maturazione attraverso la guerra, e il passaggio, come un evento naturale, quasi obbligato, dall'esercito regolare a una banda partigiana («senza rendercene conto siamo entrati nella Resistenza, se ci prendono la fucilazione è il minimo che ci possa capitare»). Il primo combattimento e la vista del primo nemico abbattuto con un colpo di pistola, con quel viso da ragazzo «che cade all'indietro, sulla schiena, e così rimane, agitando le gambe in una corsa disordinata come volesse raggiungere un luogo che ormai non vedrà mai più». Poi la cattura da parte di soldati tedeschi, accompagnati da una donna che stava con gli occhi incollati su un bambino «a cui uno della brigata nera teneva una pistola puntata». Dopo la sosta al campo di smistamento di Bolzano, il Lager di Mauthausen, dove passerà gli ultimi mesi della guerra, dal gennaio al maggio 1945.
La parte centrale del libro è costituita dal racconto della vita del Lager, dove «le nuove leggi vengono precedute dalla punizione; la spiegazione viene dopo», e dove «resistere agli altri, più che solidarietà, era un bisogno di sentirsi ancora vivi». Tema dominante la fame, «una entità che sovrasta vista, pensiero, udito e sentimenti».
La vita riprende subito dopo a Torino coi vecchi amici, ma ognuno ha una storia diversa da raccontare. Le vie, quasi tutte dolorose, attraverso cui quei ragazzi sono tornati nel loro vecchio quartiere, sono inconfrontabili. Il gruppo si disperde. Ognuno deve ricominciare da solo. Ma l'incubo di Mauthausen continua a perseguitarlo: dovunque vada, con chiunque si trovi, «io ero un pezzo di Lager». Una breve militanza nel partito comunista, ma allora «era di moda», senza contare che «prometteva una grande speranza, una libertà per tutti, tutti insieme, tutti eguali». Una milizia senza tanti entusiasmi e un rapido distacco senza lacerazioni «perché il mio comunismo divenne un interrogativo senza risposta».
Intanto la vita normale riprende: lavoro in fabbrica e contemporaneamente scuola serale. Il lavoro da operaio è descritto con quel gusto della precisione tecnica che fa pensare a Faussone, protagonista di La chiave a stella di Primo Levi, che lo ebbe collaboratore ed amico. S'incontrano dal vero operai e operaie, non inventati, mentre sovrano è il senso di stanchezza «dopo otto ore di fragore e fatica». Finita la scuola un buon impiego alla SIP lo inserisce in un nuovo mondo. Sembra venuto il momento di cambiar pagina, della stabilità e mediocrità piccolo-borghese. Ma improvvisamente, su richiesta e consiglio di un amico, reduce dal Venezuela, decide di partire anche lui. Lascia l'impiego, gli amici, s'imbarca su un bastimento dove trova altri emigranti in «un mondo di sogni che non ammettono dubbi sulla realizzazione della propria speranza». " (Sito dell'Autore: Lunedi dell'arte)
Già dalla Prefazione si coglie che il libro ci porta "oltre" la tragica deportazione e racconta il difficile e tormentato periodo del reinserimento nella vita sociale "torinese" del dopo guerra. Sono pagine vere come mai ne lessi.
L'accenno di Bobbio a Faussone, protagonista di "Chiave a stella" di Primo Levi, mi incuriosì e quindi pressai Felice Malgaroli sino a scoprire che in effetti lui e Primo Levi erano stati compagni di lavoro, e "piemontesemente" amici, in quel di Settimo Torinese presso la S.I.V.A. ove l'autore di "Se questo è un uomo" faceva il suo lavoro di chimico. Non ci volle molto a riconoscere in Faussone molti tratti della vita e della personalità di Felice. Esercitai quindi una lunga e paziente opera di persuasione affinchè la sua testarda volontà di oblio fosse parzialmente superata. Il mio ruolo era quello di chi lo supportava in una nuova era, quella di Internet. Dopo qualche anno, verificata la totale indipendenza di pubblicazione sul Suo sito, mi comunicò che aveva pubblicato alcuni suoi appunti trasmessi a una studentessa per la sua Tesi, e che potevo quindi stare contento perchè le mie insistenze avevano trovato udienza. Queste pagine sono, credo, la più precisa testimonianza esistente sulla vita da chimico di Primo Levi. (Sito di Felice Malgaroli: Lunedi dell'arte). Per precisione e completezza ecco il link al Centro Studi Internazionale Primo Levi ove inserendo il cognome di Felice sono reperibili 4 schede bibliografiche e sono pubblicate alcune testimonianze di altri colleghi di lavoro.
La quotidianità, si sa, è travolgente. Pochi giorni fà la consueta mail di rinnovo della sponsorizzazione del Suo Sito è tornata indietro, da entrambi gli indirizzi che usava. Felice Malgaroli è mancato il 7 Dicembre 2017, giovanissimo 93 enne. Il sobrio necrologio così recita " Serenamente è mancato Felice Malgaroli Lo annunciano: la figlia Marina con Pippo, Giulia, Chiara, Edoardo, il fratello Sergio con Mattia, nipoti e parenti tutti. " Questo è il link a Archos Biografie
Il suo Sito è un diario aperto e comunicante in rete degli interessi personali e artistici della parte finale della Sua vita.
Pochi rimandi sono contenuti e ben celati alle vite precedenti. Tra questi il link al Portale Memoro che raccoglie una interessante intervista testimonianza.
L'ultima news ,con l'ultimo up load, è stata la "Nuova scrittura del testo "Nati ieri"". L'ultimo logon è stato l' 08/05/2016 .
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Nota aggiuntiva. ... direbbe Felice
Mi permetto la licenza di dare voce alla precisione di Faussone e alla irriverente vena polemica di Felice Malgaroli riportando integralmente, e senza correzioni, "Cosa si disse di Primo Levi" :
" Un Libro tra i tanti. A: “CORRIERE DELL’ARTE”.
Primo Levi, un libro.
Caro Direttore, quando in Francia uscì la biografia di Primo Levi scritto da una Signora Anissimov: (Primo Levi o la tragedia di un ottimista) fu accolta da critica abbondante e negativa, e ci stupisce che attualmente tale “saggio” (778 pagine) venga pubblicato in Italia senza correggerne le inesattezze che offrono un Primo Levi alquanto improbabile. Quel che invece non ci stupisce è il proliferare e la costanza di sempre nuovi esordienti che rileggendo qua e là reinventano, a idea propria, una tragedia sull’uomo Primo Levi e, più o meno tutti, arzigogolano sul torbido delle vicende “lager” senza considerare che Egli non è stato solo ebreo e deportato, ma anche un uomo , e quindi dovrebbe poter riposare in pace. Se invece di memoria si deve parlare che sia almeno testimonianza, e allora vi sarebbe ben poco da dire, giacché Egli era uomo ilare e sereno (e questo non interessa né commuove la curiosità contemporanea) ed era altresì riservato sulle vicende personali e quindi ben poco vi sarebbe da scovare tra le parole del sentito dire altrui.
Quindi per meglio sapere abbiamo scovato la testimonianza di un Suo collaboratore tecnico (alias Faussone). Ho conosciuto Primo Levi a Settimo Torinese quando gestiva il settore vernici della S.I.V.A., così era citata quell’Azienda, ma non si trattava di vernici vere e proprie bensì di smalti speciali che avevano risolto un problema basilare quando l’Italia di alcuni anni prima si era affacciata al mercato dell’esportazione asservita dall’acquisto di materiali tecnologici all’estero. Quegli smalti che servivano per isolare con spessori minimi i conduttori di rame erano una tecnologia sconosciuta in Italia e Primo Levi ebbe la pazienza e l’ingegno di decifrarne la formula e mettersi quindi alla pari col resto delle nazioni progredite.
La soluzione di questo problema lo portò all’apprezzamento mondiale, la sua capacità di ricercatore chimico diventata uno spazio tridimensionale dell’Uomo “Levi” era come la parte soleggiata di una montagna, respiro compreso, quindi notevole a confronto del grigiore della parte in ombra del monte stesso quale era la deportazione con parte letteraria “compresa”.
Valori innegabili entrambi ma umanamente posti lontano come differenti galassie. Questo rapporto viene ignorato dalla cultura umanistica che esclude noi tecnici (individui aridi e astrusi) , ma questo è un discorso a parte che riguarda l’avere o il non avere di un Paese.
Per Primo Levi il successo significava viaggi, incontri, e riconoscimenti morali dovunque; in Ditta otteneva molto rispetto, ma inevitabilmente alcune invidie che alla fine crearono una situazione difficile per quell’ un uomo retto. Diede le dimissioni, forse credendo di soddisfare la propria creatività col mestiere di scrittore e la testimonianza di ex deportato, ma quel mondo radioso gli aveva lasciato un vuoto irrecuperabile.
Ringraziamo “Faussone” e sentiamo da altre fonti che di Primo Levi si potrebbe raccontare del suo umor faceto, dell’ammiccare arguto coi tecnici, delle generose occhiate muliebri a cui non faceva caso, delle trasferte con Faussone, che non esisteva (eravamo una dozzina i tecnici montatori e collaudatori) dice “Faussone”, ma che è stato ogni volta una parte del Suo personaggio di ”La Chiave a Stella” E tra i quali ha lasciato una immagine opposta al fosco individuo tracciato da alcuni biografi. Vorremmo quindi smontare la figura solamente grigia che ne fanno codesti ricercatori da biblioteca (a tacere di chi maestro di scienza ne rimescola il cervello) e chiedere: “Dite signori e signore “Se questo è un uomo”.
Egli era invece quanto mai umano, sarebbe bastato il non averlo lasciato troppo solo e tante altre amarezze quotidiane, taciute per orgoglio, le avrebbe superate chissà dialogando, e forse sarebbe ancora tra noi, schivo, arguto e radioso a un tempo.
Felice Malgaroli