Il ruolo del direttore sportivo nel calcio
professionistico inglese: verso un nuovo modello organizzativo
tesi di Christian Lattanzio al Corso di Direttore
Sportivo |
F.I.G.C. SETTORE
TECNICO
CORSO DIRETTORE
SPORTIVO
COVERCIANO
2009
TESI
D’ESAME
IL RUOLO DEL DIRETTORE SPORTIVO
NEL CALCIO PROFESSIONISTICO INGLESE:
VERSO UN NUOVO MODELLO
ORGANIZZATIVO
CANDIDATO:
CHRISTIAN
LATTANZIO
INDICE
IL RUOLO DEL
DIRETTORE SPORTIVO NEL CALCIO PROFESSIONISTICO INGLESE:
VERSO UN NUOVO MODELLO
ORGANIZZATIVO
INTRODUZIONE...............................................................................p.3
PREMESSA.........................................................................................p.5
CAPITOLO 1 – Il ruolo del Football
Manager................................p.9
CAPITOLO 2 – Football Manager o
Allenatore?............................p.12
CAPITOLO 3 – Involuzione tecnica o mancanza di
supporto?.....p.16
CAPITOLO 4 –
Football Manager o Direttore Sportivo?..............p.18
CAPITOLO 5 – Proposte e spunti per un nuovo modello
organizzativo............................................................p.22
BIBLIOGRAFIA.................................................................................p.31
INTRODUZIONE
È interessante notare
come all’indomani della recente sconfitta delle squadre italiane in Champions’
League ad opera dei Club inglesi ci si avventuri in infiniti parallelismi e
contrapposizioni tra “modello calcistico inglese” e “modello calcistico
italiano”. So bene che nella stesura di una tesi non è mai consigliabile legarsi
a fatti di cronaca (a meno che essi non siano assolutamente straordinari) perché
potrebbero essere facilmente messi in discussione (se non addirittura smentiti,
nel giro di pochissimo tempo). Tuttavia, la ragione di questo mia breve
introduzione è quasi di natura filosofica: si parte dal particolare, appunto, il
fatto di cronaca, per arrivare all’universale, ovvero all’analisi ed
all’enunciazione di una situazione di più ampio respiro.
Ed è proprio l’analisi di una situazione di più ampio respiro
l’obiettivo di questa tesi. Questa tesi, infatti, si propone di fare un’analisi
dell’organizzazione dell’area sportiva di alcuni Club calcistici inglesi di
Premier League e di compararla poi col sistema tradizionale italiano, annotando
differenze e similitudini tra questi due modelli. In particolare verrà
analizzata la figura del Football Manager e comparata a quella dell’Allenatore
ed a quella del Direttore Sportivo. Non solo: questo scritto si pone anche, come
ulteriore obiettivo, quello di vedere se la figura del Direttore Sportivo possa
ancora avere un ruolo (e se sì, quale) oltre che una posizione di rilievo nel
panorama del calcio europeo d’elite. Infine, si pone come ultimo obiettivo
quello di fornire degli spunti a chiunque voglia intraprendere la carriera di
Direttore Sportivo in Gran Bretagna.
In questa tesi, tra gli altri, userò quali esempi alcuni Club di
Premiership, in particolare il West Ham
United, presso il quale ho avuto ed ho ancora
(essendone co-ordinatore dell’area tecnica) la fortuna di lavorare. Mi avvarrò
inoltre dei miei dodici anni di esperienza professionale vissuti nel mondo
calcistico inglese che spero mi siano di aiuto nella lettura e nell’
interpretazione di situazioni che –ripeto- credo siano d’interesse a chiunque
voglia intraprendere la strada del Direttore Sportivo, non solo in Italia ma
anche all’estero, ed in particolare in Gran
Bretagna.
PREMESSA
Procediamo con una
premessa: quando si parla di diversi modelli calcistici, e specialmente se si
mettono a confronto quelli di Paesi diversi - come nel caso di questa tesi-
occorre sempre fare un passo indietro e ricordare come il calcio rispecchi la
realtà socio-culturale entro cui esso vive. Pertanto, per contestualizzare il
nostro discorso, occorrerà sempre tenere ben presente dei riferimenti
socio-culturali, quelli cioè che delimitano l’area entro cui si colloca il
nostro ragionamento. Evitando di fare delle ampie digressioni storiche, che temo
potrebbero portarci troppo lontano, cominciamo però col dire che a livello di
organizzazione sportiva, il modello calcistico inglese si differenzia dal
modello europeo in generale, e da quello italiano in particolare, proprio nel
ruolo e nella figura del Direttore Sportivo. Ovvero: il tradizionale modello
calcistico inglese non prevede il ruolo del Direttore Sportivo, la cui figura è
in qualche modo surrogata dall’ ampio raggio d’azione del Football Manager. E’ od
era? La domanda è legittima perché se si scorgono gli organigrammi delle squadre
di Premier League, e non solo quelle di primissima fascia (le cosiddette “Big Four”: Manchester United, Liverpool,
Arsenal e Chelsea) naturalmente inclini ad
avere, trasversalmente, un organigramma internazionale, si notano alcune cose
piuttosto interessanti. Prima tra tutte la comparsa della figura del Technical
Director (ovvero Direttore Sportivo) all’interno degli organici direttivi di
squadre come West Ham United e West Bromwich Albion. Ad occhio nudo, la comparsa
di questa figura non dovrebbe destare, almeno in noi italiani, alcuna sorpresa,
mentre invece, facendo riferimento al panorama socio-culturale di cui sopra,
tale innesto acquista un profondo significato che potrebbe portare ad impensate
ed imprevedibili ripercussioni sul ruolo del DS, non solo in Inghilterra, ma
anche, di ritorno, qui in Italia.
Facciamo
chiarezza intanto su un punto: cosa significa
Football Manager? Nel mondo calcistico
anglosassone, per tradizione ed in linea di principio, il Football Manager è il
leader indiscusso dell’area tecnico-calcistica e, come suggerisce l’etimologia
del termine, il gestore di tutto ciò che la concerne. Quindi: dagli aspetti
tecnico-tattici tradizionali, a quelli economico-finanziari soprattutto legati
alla gestione dei budget inerenti la prima squadra e la compravendita dei
calciatori durante le sessioni di mercato. Utilizzando lo schema grafico (i) a
pagina 9 si può infatti notare il livello di responsabilità che spesso viene
demandato ad un Football Manager di calcio inglese e quanto erronea sia la
traduzione col termine Allenatore, soprattutto se inteso come in genere lo
intendiamo noi in Italia. In altre parole, il Manager calcistico anglosassone
tende ad incarnare la somma dei ruoli dell’allenatore più quello del Direttore
Sportivo (DS); ed ecco spiegato il motivo per cui la figura del DS non ha
(finora) mai preso piede in Gran Bretagna. Stando così le cose, tutto
sembrerebbe semplice ed apparirebbe legittimo pensare che essendo i due Paesi
diversi, per cultura e tradizione sportiva, la scelta dei modelli organizzativi
rispecchierebbe l’ambiente che li ha prodotti. Punto.
Ed invece, andando oltre questa patina superficiale, scopriamo
una situazione ben più composita ed in piena evoluzione.
Intanto, come detto in precedenza, scopriamo negli organici di
Club inglesi gloriosi e molto tradizionalisti, quali appunto West Ham United e
West Bromwich Albion, la figura del Technical Director, che altri non è se non
un Direttore Sportivo. Si tratta di un’ informazione di notevole portata, forse
non percepita con la dovuta attenzione, non solo dalla stampa specializzata, ma
anche da gran parte degli addetti ai lavori. Ripeto, si tratta d’un’informazione
di notevole importanza strutturale perché ci pone dei quesiti di grande
interesse circa il presente ma soprattutto il futuro prossimo del ruolo stesso
di Direttore Sportivo.
(i) Organigramma tipo delle
responsabilità d’un Football Manager
1. IL RUOLO DEL FOOTBALL MANAGER
Intanto poniamoci un quesito: per quali ragioni Club
tradizionali e tradizionalisti quali West Ham United e West Bromwich Albion
avrebbero dovuto impiegare un Technical
Director avendo già a libro paga un Football
Manager? (Prima di provare a rispondere a
questa domanda, sia detto qui tra parentesi che il modello organizzativo
anglosassone mal digerisce la dualità dei ruoli ovvero la sovrapposizione di
aree di competenza e responsabilità)
La risposta credo sia semplice: per aver
individualizzato all’ interno dei propri organici, una carenza a livello
strutturale ed infrastrutturale. In altre parole, si è notato che affinché
l’organizzazione dell’ area tecnica funzioni al meglio, occorre avere una figura
di riferimento che abbia compiti e competenze specifiche cha vadano al di là
(poi vedremo come) di quelle del Football
Manager tradizionale. Ed è interessante
vedere come ciò sia stato notato da due Club che hanno dirigenti giovani,
ambiziosi, dalle vedute aperte, con un occhio all’Europa, ma soprattutto con un
vissuto nel Management
aziendale.
Ciò ci porta naturalmente ad analizzare un po’ più in
profondità il ruolo del Football
Manager inglese e come esso sia cambiato nel
corso degli ultimi anni. Infatti è proprio dall’entrata in scena della Premier
League nel 1992 che il ruolo del Manager ha cominciato gradualmente a cambiare
soprattutto a causa degli inevitabili interessi economico-finanziari generati
dalla trasformazione del calcio negli ultimi 20 anni. In passato, senza lo
sviluppo delle aree del Marketing e del Merchandising, senza la tecnologia dell
Scouting globale, senza la capillare presenza di intermediatori ed agenti, senza
la massiccia presenza della scienza dello sport, il Manager poteva gestire
l’area tecnica d’un Club calcistico con relativa competenza e semplicità. In tal
senso, abbiamo degli esempi clamorosi, uno su tutti quello del leggendario
“Liverpool backroom staff”
che si tramandava di generazione in
generazione (e sino all’avvento di Gérard Houllier nel 1998) la guida tecnica di
uno dei Club più importanti del mondo,addirittura lasciando che un
fisioterapista (sia pure sui generis) - il leggendario Bob
Paisley - assurgesse a Football Manager di livello
mondiale (vincitore tra le altre cose di sei Campionati d’Inghilterra e di tre
Coppe dei Campioni) oltre che di eroe del Merseyside. Ma, ripeto, si trattava di
altri tempi, tempi nei quali i Club (anche quelli più prestigiosi) venivano
organizzati e gestiti in maniera più immediata e verrebbe quasi da dire più
“casareccia”.
Oggi, di fronte alla commercializzazione estrema di
quella che viene addirittura chiamata “industria Calcio”, assistiamo alla
progressiva inadeguatezza di alcune figure professionali o per lo meno al loro
ridimensionamento. Il discorso pertanto non può non vertere, ancora una volta,
sulla figura del Football
Manager, e sul naturale sviluppo di questo
ruolo, proprio perché intorno ad esso si è sviluppato il modello tradizionale
del calcio inglese. Ritengo sia necessario insistere su questo punto poiché, da
qualche tempo a questa parte, almeno in Gran Bretagna, è fiorita una diatriba
molto accesa ed interessante ( se non altro ai fini del nostro ragionamento)
sulla contrapposizione tra Football Manager e
Technical Director (o Director of Football).
In alcuni casi si è tentato di fare coesistere queste due figure: valga come
esempio generale quello del Tottenham con Comolli e Jol (prima) e Ramos (poi) ma con scarsi risultati. Ed è interessante notare come proprio il
Tottenham, società gestita da un imprenditore giovane e di ampie vedute quale
Daniel Levy, abbia fatto un clamoroso dietrofront sulla questione del DS ed
abbia recentemente affidato la guida della squadra ad uno dei Football Manager
più tradizionalisti e reazionari del calcio inglese, Harry Redknapp. L’esempio del
Tottenham è significativo e ci offre numerosi spunti di lettura riguardo il
presente ed il futuro del ruolo del DS nel calcio professionistico
inglese.
2. FOOTBALL MANAGER O ALLENATORE?
Per continuare con la nostra analisi, occorre
affrontare una volta per tutte la questione Football Manager-Allenatore.
I Club di Premier League, a vari livelli, sono ormai
delle aziende cui è demandata la gestione di fatturati elevati [apriamo una
parentesi: l’annuale e più recente report della Deloitte, fa vedere come la
Premier League con i suoi 2490 milioni di
Euro sia di gran lunga la lega calcistica più
forte al mondo, seguita a debita distanza, con 1470 milioni di fatturato complessivo, dalla Bundesliga e tuttavia uno dei punti focali
resta quello dei famigerati “tre
punti”, ovvero i risultati che si conseguono
settimanalmente: si tratta d’una legge alla quale il calcio, nonostante la sua
industrializzazione, non potrà mai sottrarsi. Per tale ragione la preoccupazione
principale di ogni Football Manager così come di ogni Allenatore europeo resta
la gestione del gruppo (o della squadra) e la preparazione della gara
successiva.
Ormai infatti, anche la Premier League ha accolto
l’abitudine di cambiare il Manager in
corso, e basti citare gli esempi di
Newcastle e Portsmouth che nella stagione in corso (2008/09) hanno già cambiato la
propria guida tecnica tre volte passando gli uni da Keegan a Kinnear/Hughton a
Shearer, e gli altri da Redknapp ad Adams a Hart. Inoltre, per restare su
territori di più immediata conoscenza e citando il West Ham United basterà
esporre il seguente fatto: dal 1932 al 2001 il Club degli Hammers ha avuto otto
Football Managers, dal 2001 al 2008, quattro. Ciò dimostra verso quale direzione
si stia andando e fa ben comprendere la visione di due Club citati ad esempio in
precedenza (West Ham United e West Bromwich Albion) a volersi affidare a
Technical Directors proprio per salvaguardare il patrimonio tecnico societario e
continuare a portare avanti i propri progetti sportivi, oltre che la gestione
dei vari dipartimenti legati all’area sportiva del Club, indipendentemente dalla
durata della vita professionale del tecnico in seno alla Società. Non a caso, in
molte occasioni, si è giunti alla paralisi dell’area sportiva, soprattutto -come
facilmente prevedibile- nei momenti di maggiore difficoltà della prima squadra.
Se infatti, come da contratto, viene demandata al Football Manager la gestione
dell’intera area sportiva (cfr nuovamente lo schema di pagina 6) è comprensibile
(ma non giustificabile) che il Football Manager concentri tutte le proprie
attenzioni sulla prima squadra di fatto tradendo il ruolo che gli è stato
affidato. Capita spesso infatti che, a causa di impegni impellenti della prima
squadra (ubi maior...) il Football Manager
lasci una guida parziale a capo di aree, come
ad esempio quella dell’Academy (Settore
Giovanile) o dello Scouting che pure
rientrano nelle sue aree di competenza a tempo pieno.
Un esempio che può valere per illustrare al meglio
questa situazione, è ancora una volta quello del Newcastle. Al termine della
stagione 2006/07, il Newcastle United decide di affidare il ruolo di
Football Manager del proprio Club a Sam
Allardyce, proveniente da otto stagioni tutto
sommato positive con il Bolton Wanderers. Una delle ragioni per le quali
Allardyce viene scelto, stando alle dichiarazioni fatte a BBC Sport nella
primavera del 2007, dall’allora presidente del Club del Nord-Est inglese,
Freddie Shepherd, è la comprovata capacità
di questo Football Manager a creare una
struttura paramedica efficace, che prevede un elevato numero di terapisti a supporto della
guida tecnica e soprattutto a supporto dei giocatori; oltre che la presunta
capacità, sempre da parte di Allardyce, di pescare sul mercato giocatori
stranieri di buon rendimento e a prezzi ragionevoli attraverso una rete di
scouting ben organizzata. Tuttavia, come a volte accade - non solo nel calcio ma
più in generale nella vita - alle aspettative non fanno seguito i risultati e
Allardyce viene esonerato dalla guida tecnica del Newcastle il 9 Gennaio 2008.
Il fatto in sé sarebbe di dominio della cronaca, e
tuttavia acquista un significato all’ interno del nostro excursus perché ci illustra chiaramente
una gestione da parte degli alti quadri dirigenziali della società
particolarmente rischiosa e legata a criteri
tradizionali benché, paradossalmente, spacciati per nuovi ed
innovativi. Al Newcastle United restò
infatti “in dote” tutta la struttura di paramedici e scout creata e voluta da Allardyce, ma
non necessariamente dal Football
Manager successivo. Iniziò così, all’indomani
dell’esonero di Allardyce ed in mancanza di una figura di riferimento
legittimata a gestire l’area tecnica (come potrebbe appunto essere un DS) il
lento esodo dei vari terapisti e scout, tra l’altro possessori di contratti
onerosi e pluriennali, non scelti né gestiti dalla Società (se non
indirettamente attraverso il Manager). Questo esempio ci illustra anche un
modello di management cosiddetto a “compartimenti
stagni”, dove cioè la responsabilità e la
gestione dell’area sportiva della società viene scollata dal resto del Club.
Pertanto, la domanda che i Consigli di
Amministrazione (“The Boards”)
di vari Club professionistici inglesi, di
Premier League e non, cominciano a porsi, è se una società professionistica,
anche alla luce di quest’ultimo esempio, debba ancora affidare l’intera gestione
della propria area tecnico-sportiva ad un individuo il cui destino sportivo è
spesso legato ad una manciata di risultati.
3. INVOLUZIONE TECNICA O MANCANZA DI
SUPPORTO?
Inoltre, restando sulla dicotomia Football Manager-Allenatore, questa tesi azzarda l’ipotesi che in seguito all’enorme crescita del
calcio inglese registratasi nell’ultimo quindicennio, sia a livello industriale
e commerciale sia a livello organizzativo e di infrastrutture, proprio l’assenza
della figura del DS abbia contribuito negli ultimi anni a limitare, salvo rari
casi, la crescita di Allenatori inglesi di reale statura internazionale. La
ragione, come spesso (e, aggiungerei, a sproposito) si sente dire non va cercata
tanto nelle alchimie tattiche o nelle diverse filosofie di gioco, quanto
piuttosto nell’interpretazione del ruolo. Infatti, mentre in Italia, un
Allenatore tende a prepararsi alla sua carriera professionale seguendo un iter
educativo e professionale coerente con il suo obiettivo, nel Regno Unito, molto
spesso il Football Manager comincia la sua professione come Football Coach -questo sì equivalente
al nostro Allenatore- e poi via via si tramuta appunto in Football Manager. In
altre parole, in Italia un Allenatore nasce tale e tale resta, e svolge più o
meno lo stesso ruolo, sia che cominci come tecnico delle giovanili sia che
approdi poi alla guida d’una grande squadra; in Inghilterra invece il ruolo di
Allenatore (ovvero Football Coach) viene spesso visto come uno stepping stone e cioè come un
gradino verso l’ambito ruolo di Football
Manager. Tuttavia la preparazione fatta, spesso
incentrata sul conseguimento dei patentini degli UEFA Licence, è prettamente di natura
tecnico-tattica e pochissimo manageriale. Per tale ragione, nella maggior parte
dei casi, un tecnico inglese, per quanto bravo esso sia, arriva di rado con una
preparazione adeguata a gestire intere aree sportive. Sarà forse un caso, ma da
quando la Premier League fu istituita, nella stagione 1992-93, nessun tecnico
inglese è mai riuscito ad aggiudicarsela.
Non solo: da quando è entrata in vigore la Premier
League, la guida tecnica della Nazionale inglese è stata affidata, caso unico
nella sua gloriosa e centenaria storia, per ben due volte a tecnici stranieri
(Sven-Göran Eriksson 2001-06 e Fabio Capello
2008). È possibile che tutto ciò sia connesso
alla figura del DS? E se sì, in che modo?
4. FOOTBALL MANAGER O DS?
Abbiamo visto in precedenza in quale modo le figure
di Allenatore e Football Manager divergano; passiamo ora ad analizzare i
parallelismi e le similitudini che esistono tra Football Manager e DS. In questi
anni di globalizzazione e di Europa Unita, resta viva la questione del modello
organizzativo e la comprensione di sistemi funzionali.
Nel mondo del management aziendale anglosassone,
viene spesso utilizzata la parola benchmarking per indicare lo studio
dei modelli di eccellenza, quelli cioè che sembrano produrre ottimi risultati
all’interno di un settore specifico e con una certa regolarità. Dato che uno
degli obiettivi dichiarati di questa tesi è appunto quello di vedere se la
figura del Direttore Sportivo possa ancora avere un ruolo (e se sì, quale) oltre
che una posizione di rilievo nel panorama del calcio europeo d’elite, occorre
fare del benchmarking ed analizzare più nel particolare quei modelli di
Football Management che hanno portato a risultati d’eccezione. In tal senso, si hanno in
Premier League due esempi di caratura mondiale rappresentati da Arsene Wenger all’Arsenal,
e soprattutto da Sir Alex
Ferguson al Manchester United. Cos’è che
contraddistingue questi due modelli di grande successo e longevità sportiva?
Naturalmente, ed è sin troppo facile sottolinearlo, l’appartenenza a due grandi
Club dalle tradizioni gloriose e dai bilanci multimilionari. Tuttavia, ancora
una volta la differenza che fa la differenza, è da ricercarsi nella strategia di
intervento e nella sagacia dimostrata nell’analisi del ruolo di Football
Manager. Con Wenger e Ferguson, siamo di fronte ad una magistrale
interpretazione dei poteri e delle potenzialità che il ruolo di Football Manager
appunto offre. Entrambi dimostrano tratti
comuni che credo possano essere estrapolati dalle loro esperienze particolari
per farne delle regole auree generali. Ancora una volta, dal particolare
all’universale. Per tornare alla nostra definizione di benchmarking, cos’é che
accomuna queste due esperienze uniche? E cosa possiamo imparare dai successi di
questi due grandi Football Managers?
Per cominciare, sia Wenger che Ferguson hanno
dimostrato una visione progressista
e dato un vero taglio manageriale al loro
ruolo creando strutture ed infrastrutture
nuove ed innovative a Club che oggi sono
all’avanguardia e che rappresentano un punto di riferimento per tutti, ma che
allora certo non lo erano. Entrambi, verrebbe voglia di dire, hanno interpretato
il loro ruolo “da DS”, lasciando ad altri, soprattutto nel caso di Ferguson il
compito di allenare la squadra
(basti pensare al ruolo di allenatore, svolto
nel corso degli anni, a fianco del Manager scozzese, dai vari Brian Kidd, Steve
McLaren, Carlos Queiroz, Walter Smith ed ora Mike Phelan). Wenger, dal canto suo, fu
invece il primo Football Manager ad introdurre
in Premier League una struttura capillare e diremmo quasi
“scientifica”, in tutte le aree connesse alla
vita della Prima Squadra (“First Team”): dal Dipartimento di
Sport Science introducendo figure come quelle del Nutrizionista, a quello dello
Scouting anche a
livello di settore giovanile. Ferguson ci mostra quindi un modello possibile e
parallelo rispetto a quello del DS tradizionale, quello cioè di un
Football Manager che muovendosi dai campi si sposta decisamente verso la scrivania. I
vantaggi di questo possibile modello possono essere di ordine mediatico: il
Football Manager, almeno in Inghilterra, viene ancora visto da gran parte della stampa,
dai tifosi e dalla maggioranza degli addetti ai lavori come l’unico responsabile
dell’area sportiva del Club calcistico e pertanto facilmente identificabile con
una tradizione che riconosce questa figura come unico punto di riferimento. Gli
svantaggi, come visto in precedenza, sono spesso di ordine pratico: non sempre
infatti si hanno a disposizione ingegni startegici del calibro di Ferguson o
Wenger, soprattutto perché, come vedremo tra breve, siamo in presenza di esempi
estemporanei e non frutto di una scuola mirata. Infatti, si aggiunge a questo
quadro un aspetto paradossale che merita di essere sottolineato non solo perché
di estrema importanza, ma soprattutto perché spesso taciuto: al Football Manager
britannico viene richiesta come qualifica essenziale quella della UEFA
Pro-Licence, ovvero del massimo patentino di allenatore. Mentre invece, come
abbiamo visto eloquentemente, le competenze richieste per riuscire ad espletare
il ruolo di Football Manager nella maniera più efficace ed adeguata sono di
natura gestionale ed organizzativa.
Questa riflessione ci porta così a sviluppare
ulteriormente il nostro ragionamento ed a fornire una proposta di
modello
organizzativo-gestionale che tenga conto
degli arricchimenti che l’immersione della figura del Technical Director (o DS che dir si
voglia) nel mondo calcistico anglosassone inevitabilmente comporta. Al Direttore
Sportivo che voglia intraprendere la propria professione al di là della Manica
viene infatti richiesto di entrare a contatto, divenendone parte integrante, con
aziende dalle culture manageriali strutturate.
5. PROPOSTE E SPUNTI PER UN NUOVO MODELLO
ORGANIZZATIVO
“Managers do
the things right, leaders do the right things”
W. Bennis & B. Nanus
Seppur correndo il rischio di generalizzare, occorre
dire che troppo spesso il DS viene ancora visto come una sorta di
capo osservatori, soltanto meglio retribuito e con un potere maggiore, il cui obiettivo
principale sarebbe quello di scovare giocatori e di ricavarne, per conto del
Club presso cui egli lavora, dei lauti guadagni, o plus-valenze per usare un
termine tanto in voga in questi anni. In parte, questo sembra essere il caso
anche nel mondo anglosassone; ed è proprio quando il Technical Director è stato interpretato,
visto e presentato sotto queste vesti che tale figura ha inevitabilmente
fallito.
Negli ultimi anni di Premier League, si possono
citare gli esempi di Avram Grant al
Portsmouth, che fu inizialmente imposto
dall’allora Presidente Milan Mandaric al Football Manager Harry Redknapp, il quale
però ne rifiutò la collaborazione; oltre che di Comolli al Tottenham, il quale
ha collaborato senza grandi successi prima con Martin Jol, favorendone
l’esonero, e poi con Juande Ramos. Senza entrare nel merito se non menzionando
che talvolta i Technical
Directors vengono scelti semplicemente per
ragioni mediatiche e tra candidati il cui obiettivo, più o meno segreto, è quello di
succedere, prendendone il posto, al Football Manager; occorre però ribadire che
si sta facendo strada in molti Club di Premiership la necessità di una figura di
raccordo tra Società, qui intesa come “Board
of Directors” (ovvero come Consiglio
Direttivo), ed area sportiva del Club. A tale figura vengono richieste
competenze professionali di vario genere sia di Leadership che di Management.
Cerchiamo di vedere, all’interno del panorama
manageriale anglosassone, come la figura del DS si possa collocare e come debba
evolversi per risultare efficace ed in ultima analisi vincente. Il ruolo del
moderno Technical Director deve innanzitutto
sposarsi con quella del Football Manager che
sempre più Club inglesi vorrebbero ora chiamare Football Coach. Comicia cioè a
prendere piede un modello “all’italiana” dove un Direttore Sportivo affianca un
Allenatore. Tuttavia le similitudini finiscono qua, perché a questo modello, che
giova ripetere non è l’unico possibile ma che comincia ad acquisire credibilità,
si richiede di funzionare all’interno di modelli gestionali rodati e che si
basano su sistemi ed equilibri manageriali prestabiliti. Ecco quindi che faccio
nuovamente leva sui miei dodici anni di esperienza vissuti in Inghilterra presso
Club calcistici professionistici per fare alcune riflessioni e fornire spunti su
come il DS possa inserirsi su un tessuto professionale consolidato facendo
quella differenza in positivo che ritengo possa fare. Ripeto, l’obiettivo di
questa tesi è quello di fornire spunti da elaborare e non formule magiche da
applicare per ottenere un sicuro successo. Intanto come è bene (e forse banale)
sottolineare, ogni realtà è diversa e specialmente nel calcio inglese, fa storia
a sé. Le tradizioni e la storia di un Club spesso impongono delle strategie
aziendali uniche e difficilmente ripetibili altrove. Faccio un esempio,
all’ingresso di Upton Park, lo stadio del West
Ham, campeggia la scritta che dice
“The Academy”, ovvero “Il Settore Giovanile”, quello per eccellenza. Questo perché,
per tradizione riconosciuta e consolidata, il West Ham ha prodotto con
regolarità, nel corso degli anni, alcuni dei talenti più cristallini del calcio
inglese: da Bobby Moore a Martin Peters, da
Geoff Hurst a Trevor Brooking, da Paul Ince a Tony Cottee, fino ai più recenti
Rio Ferdinand, Frank Lampard, Joe Cole, Michael Carrick, Jermaine Defoe, Glenn
Johnson, ecc. Ciò impone una linea guida, sia
a livello di settore tecnico che di marketing, per cui la selezione, la cura e
l’allenamento del giovane
talento (meglio se locale) riveste
un’importanza vitale per il successo del
Club. E ciò più al West Ham che, ad esempio,
al Chelsea, dove invece la fioritura di un talento del settore giovanile è visto
come un bonus gradito e non come un’aspettativa. Il primo spunto riguarda quindi
la conoscenza dell’ identità d’un Club. Occorre documentarsi e capire a fondo
sia le origini che la storia del Club, soprattutto quando si parla di Squadre
inglesi; ciò è di fondamentale importanza e non lo si ripeterà mai abbastanza. A
corollario di questo discorso si colloca quindi il rapporto col territorio.
Quest’argomento meriterebbe forse una tesi a parte e tuttavia cercheremo di
riassurmene le parti essenziali. Ogni Squadra inglese professionistica ospita e
gestisce un dipartimento del quale poco si parla ma che rappresenta in un certo
senso l’anima del Club: il Football In The Community (FITC). Questo Dipartimento
ha come principale obiettivo quello di gestire i rapporti con le comunità
rappresentate nel Borough (Quartiere) e nelle aree entro cui si trova il Club.
Talvolta tra le tantissime altre attività, è demandato al Dipartimento
del Football In The Community il compito di
instaurare rapporti con minoranze etniche e con gruppi sociali a
rischio, ma anche di prendersi cura delle
scuole calcio per i più piccoli. Il caso del West Ham è ancora una volta
indicativo: esso si trova all’interno del Borough di Newham, uno dei più popolosi e multietnici quartieri di
Londra, dove, stando alle statistiche
governative, sembra si parlino cento lingue
differenti e che è stato teatro negli ultimi
40 anni di una serie di flussi di immigrazione notevoli. Oggi, la popolazione
visitante le gare interne del West Ham (prettamente bianca e britannica) non
riflette più la popolazione circostante Upton Park, fatta di inglesi asiatici di
seconda o terza generazione (soprattutto pakistani), di inglesi afro-caraibici
anch’essi di seconda o terza generazione, di immigrati somali, bulgari, lituani,
colombiani, polacchi, tanto per citare soltanto alcune delle nazionalità più
rappresentate. Per tale ragione il Football In The Community del West Ham ha
istituito un progetto chiamato Asians In
Football il cui scopo principale è quello
di integrare i giovani inglesi di origine
pakistana, indiana, cingalese e bengoli nel tessuto sociale dell’est di
Londra utilizzando il calcio come veicolo
educativo e di aggregazione sociale. Ciò naturalmente ha anche un valore in
ambito di marketing e di sopravvivenza del Club; in questo modo infatti il Club
si garantisce i tifosi del futuro reinventando il territorio e riscrivendo la
propria storia. Il Dipartimento di Marketing del West Ham United ritiene infatti
che tra vent’anni la popolazione etnica che assisterà alle gare casalinghe del
West Ham sarà ben diversa da quella attuale. Il secondo spunto, pertanto è
quello di curare i rapporti col territorio in maniera capillare ed originale,
massimizzando le risorse a disposizione e facendo leva sul branding che ogni
Club professionistico, in quanto tale, possiede. Riuscire a far ciò significa
garantire il presente ma soprattutto il futuro al proprio Club, soprattutto
nell’era di internet, della globalizzazione e della comunicazione di massa che
favorisce inevitabilmente i Club più grandi, quelli cioè più forti
mediaticamente.
Si diceva delle qualità che si richiedono al
Direttore Sportivo moderno, ebbene egli dovrebbe, soprattutto se agisce
all’interno di un contesto culturale improntato sull’organizzazione collettiva,
pensare ed agire talvolta come un Manager e talaltra come un Leader. Tuttavia
prima di fare ciò occorre comprendere le differenze che i due ruoli comportano.
Per fare un breve esempio: il Leader è colui
il quale fornisce una visione, il Manager invece fa sì che tale visione venga
posta in atto rapidamente ed efficacemente.
Entrambi hanno un ruolo da svolgere e di medesima importanza, occorre soltanto
fare chiarezza. È importante conoscere le proprie caratteristiche e le proprie
qualità per poi applicarle. Ancora una volta porto ad esempio la recente
riorganizzazione del West Ham United. In quel caso la visione è stata fornita
dal C.E.O. (Chief Executive Officer, l’equivalente del Direttore Generale) il quale ha deciso di
impostare il Club in maniera diversa rispetto al passato, affidando
l’organizzazione dell’ area tecnica della squadra ad un Technical Department (formato dal C.E.O. stesso, da un
Technical Director e dal Football Manager e da
un Technical Co-ordinator, questi ultimi tre,
sia detto qui tra parentesi tutti italiani). Lo spunto che si vuole dare in
questo caso riguarda l’importanza dell’organizzazione del gruppo di lavoro,
nelle sue diverse fasi di: selezione, formazione, delega e gestione. Nel mondo
anglosassone, la qualità del gruppo di lavoro
viene vista come la cartina di tornasole
della caratura professionale di chi ne gestisce le responsabilità. Ìn altre
parole un Direttore Sportivo di livello deve essere in grado di circondarsi di
persone valide che ottimizzino il suo lavoro: sotto tutti i punti di vista. Per
tale ragione egli deve interessarsi, come leader o come manager, dei vari
“linguaggi” parlati all’interno del Club; deve cioè essere in grado di
comunicare con più dipartimenti: da quello di marketing a quello medico, da
quello finanziario a quello delle risorse umane, fermo restando le competenze
che gli devono appartenere – queste di dovere- in riguardo l’organizzazione e la
gestione dell’area tecnica.
Un’ultima
riflessione va rivolta all’aspetto dell’ integrazione dei giocatori. Il DS, sia
esso Leader o Manager, deve necessariamente tenere conto della globalizzazione e
dell’apertura a tutti i mercati internazionali, ognuno dei quali propone
problematiche diverse e per molti versi uniche. Non si tratta certamente d’un
argomento nuovo e tuttavia il numero dei Club che forniscono delle strutture
adeguate ed efficaci in tal senso sono sorprendentemente poche. In Gran Bretagna
si parla molto dei successi (o degli insuccessi) degli Scouting Departments
ma poco si dice delle strutture di supporto
date ai giocatori stranieri in entrata. Molto spesso infatti sono proprio tali
infrastrutture a dare un apporto determinante per la riuscita del calciatore.
Pertanto, l’ultimo spunto riguarda la capacità di essere attento ai dettagli ed
a promuovere all’interno del proprio circolo di influenza un tipo di cultura
molto apprezzata nel mondo anglosassone: quella della proattività. Per
concludere, è importante sottolineare ancora una volta che questo è un momento
di notevole importanza per il ruolo di DS. Un calcio di grande prestigio e
sinora impermeabile alla sua figura comincia a prenderne in considerazione
l’importanza e l’utilità. Ma per avere successo anche in Gran Bretagna il
DS deve porsi come punto di riferimento del
Club attraverso l’ovvia conoscenza dell’area tecnica, deve dimostrare
credibilità nelle varie aree costituenti il Club , deve saper riconoscere le
proprie caratteristiche (siano esse di leadership o di management) e
sfruttarle al meglio. Deve conoscere ed approfondire l’identità e la storia del
Club presso cui va a lavorare, deve ottimizzare i rapporti col territorio, e
soprattutto dovrebbe essere in grado di creare (prima) e gestire (poi) un gruppo
di lavoro che inevitabilmente sarà
il metro secondo il quale verrà giudicato.
Si veda di seguito un possibile schema
dell’organigramma sottostante un Technical
Director :
Un’ultima
riflessione: la capacità di saper fare tutte queste cose con impegno ed intelligenza
determinerà non solo il grado di successo del ruolo di Direttore Sportivo nel
calcio d’elite inglese ma inevitabilmente cambierà, per contaminazione, anche
l’interpretazione che oggi gli viene data laddove la sua figura è invece
istituzionalizzata. E ritengo che ciò arricchirà notevolmente il mondo del
calcio.
- AAVV , Harvard Business Review
on Leadership, HARVARD BUSINESS SCHOOL PRESS,
1990, Boston, MA,
- Michael ARMSTRONG, How to be an even
better Manager, KOGAN PAGE, 1988, London,
UK