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    Roberto Tavola  (1604 Click)
    Dallo scudetto con la Juventus agli allievi provinciali del Cit Turin.
    27/02/2010
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    Calcio
     

    Intervista a 53 anni

     

    Da Il pallone racconta

    Nato a Pescate, in provincia di Como, il 7 agosto 1957, Roberto cresce nell’Atalanta, con la quale fa il suo esordio in serie A, l’11 settembre 1977 nella partita contro il Perugia. Rimane nella società orobica fino all’estate del 1979, quando viene acquistato dalla Juventus.
    In quegli anni, sono molti gli affari che si concretizzano fra le due società; Scirea, Cabrini, Marocchino, Prandelli, Bodini, tanto per fare alcuni esempi. La Juventus deve sostituire un pezzo da novanta, come Romeo Benetti e consegna la maglia numero dieci a Tavola. Il campionato si conclude con il secondo posto, ottimo risultato considerato che alla fine del girone di andata la Juventus era in zona retrocessione; anche l’avventura in Coppa delle Coppe è positiva, nonostante l’eliminazione in semifinale da parte dell’Arsenal, del futuro juventino Brady.
    Le partite di Roberto furono poche, pochissime ed alla fine, tirando i conti, in Galleria San Federico, decisero che il ragazzo doveva farsi le ossa da qualche altra parte. Fu spedito (con la garanzia di ritorno, visto che era in prestito) a Cagliari insieme a Pietro Paolo Virdis, anche lui esiliato nell’isola che era sua calcisticamente e praticamente. A Cagliari, Tavola, venne impiegato prima come centrocampista e poi come terzino di fascia. Gli incontri disputati, alla fine, non furono molti, ma senz’altro sufficienti a farlo rimpiangere tra tifosi ed i colleghi.
    «Fu un’annata un po’ sfortunata», dice, «sotto parecchi aspetti; qualche incidente, qualche partita saltata nella fase più delicata, quella dell’avvio della stagione, ed ecco spiegato il perché delle mie non numerose apparizioni in campionato. A voler comunque essere preciso e sincero, non sono nemmeno mancati gli aspetti positivi; ci ho comunque guadagnato in esperienza e credo che in molti se ne siano accorti».
    Roberto si ripresenta al ritiro juventino dell’estate 1981; la stagione è molto deludente, Roberto totalizza solamente quattro presenze, di cui una schierato nell’inusuale ruolo di terzino sinistro. Fa nuovamente le valigie, destinazione Lazio, in serie B; due allenatori in un anno: il primo che lo aveva voluto, Clagluna l’altro, Morrone, che non lo amava troppo. In ogni modo, la promozione in serie A della Lazio ha visto anche Tavola come protagonista.
    Ritorna a Torino; la Juventus inizia il campionato 1983-84 senza due suoi monumenti, Zoff e Bettega, ma sarà ugualmente una stagione trionfale; scudetto e Coppa delle Coppe ingrassano la bacheca, ma per Tavola gli spicchi di gloria sono rarissimi. Solamente sei presenze ed una fantastica rete, in Coppa delle Coppe, contro il Lechia Danzica.
    «Dopo dieci minuti», racconta, «provoco un calcio di rigore e me ne dispero; pochi istanti più tardi mi spingo più avanti e, su un cross di un compagno, colpisco al volo di sinistro da fuori area in modo impeccabile. Ne scaturisce un missile imparabile che la scia di stucco il portiere avversario. Il giorno dopo, la mia rete viene premiata con l’ “Eurogol”, prestigioso riconoscimento che, allora, veniva attribuito alla più spettacolare marcatura realizzata nel mercoledì europeo. Una soddisfazione enorme per chi, come il sottoscritto, ha certamente raccolto meno del dovuto».
    Termina qui l’avventura juventina di Roberto Tavola; buon centrocampista, dotato di un tiro al fulmicotone, ma lacune caratteriali non gli permisero di emergere dall’anonimato.
    «Sono nato come mediano ma, una volta approdato alla Juventus, il “Trap” mi impostò come terzino sinistro in quanto, pur credendo alle mie qualità, so era accorto che il centrocampo bianconero era prerogativa di troppi campioni; ed io ero un giocatore di quantità che si manteneva sempre su un discreto standard di rendimento, anche se usavo il destro giusto per correre. Pur non essendo grintoso e neppure cattivo, cercavo di non mollare mai l’avversario di turno. Il mio più grande difetto ??? Nella vita, come nel calcio, sono sempre stato incapace di “mordere”; quando, a soli ventidue anni, arrivai a Torino con ottime prospettive, non mi resi conto di essere in grado di confrontarmi con i vari Cabrini, Gentile, Tardelli, Cuccureddu, Causio e Bettega. Avrei dovuto essere più sfacciato. Invece, mi rassegnai, non so perché, alla parte del rincalzo. Il carattere non è mai stato il punto di forza».



     
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