Io non capisco perchè Amy mi diceva che il calcio era una perdita di tempo, e preferiva sonnecchiarmi accanto durante quei maledetti novanta minuti, anche se poi era sempre sollevata nel vedermi euforico, se tutto era andato bene a fine partita. Ho sempre trovato molto strano quel suo modo di dormire in mezzo alla tempesta di grida e insulti al teleschermo che si ripeteva ogni settimana, come ho sempre trovato molto strano che non capisse che, nonostante il sonno ed il disinteresse, in realtà il filo che la legava alla mia Roma era indissolubile, quasi che, affusolata su quel divano, ne fosse un prolungamento, una concretizzazione, che mi spingeva a tifare ancora più forte. Gli amori sono come le partite: li puoi perdere e guadagnare all'ultimo minuto, li puoi saper gestire con un possesso palla continuo, ma puoi anche scoprirti e subire un contropiede devastante, come puoi anche decidere di venderti il match, fare pari e patta e pace sia. A ben vedere, sono diverse le partite della Roma che avevano qualcosa in comune con me ed Amy, e tutte quelle microparticelle di orgoglio, frustrazione, rabbia, gioia e paura, che mi sembravano macigni giganti, mi ritrovo oggi, in questa serata di quasi primavera, a tirarle fuori al suono banale di un "mi ricordo".
Ricordo la prima volta che la portai allo stadio, e quanto quella partita, un Roma - Bologna vinto in rimonta, assomigliasse a noi due: tosti e determinati, non pensavamo allo spettacolo inutile e fine a sè stesso, ma si cercava sempre di ricostruire dalle rovine di un gol preso, guardando sempre avanti, convinti che i giorni a venire sarebbero comunque stati di più di tutti quelli passati. Convinti che, rimboccandosi le maniche, di gol se ne sarebbero potuti recuperare anche dieci. Ricordo quella volta che col Catania i nostri corpi uniti al gol del pareggio di De Rossi all'ultimo minuto mi hanno fatto vedere in Amy il sol dell'avvenir, quasi che dopo tanta sofferenza quella palla dentro al sacco ce la avessimo spinta noi, ed ora il futuro per noi sarebbe stato diverso, perchè avevamo toccato il cielo con un dito, e solo per merito nostro. E io credevo che la strada sarebbe stata lunga almeno un milione di chilometri in più di quella che partiva da Bari, la nostra prima trasferta, quando il gol di Vucinic divenne il nostro manifesto: aveva segnato a Bari da leccese, ed io ed Amy eravamo giovani ed arroganti come lui, pronti a mostrare gli artigli e graffiare la faccia di chiunque. E' proprio vero che nelle partite di calcio trovi storie straordinarie, che magari ti potranno anche far volare lontano con l'immaginazione rispetto a quel campo verde, ma che sempre lì ti riportano, come un boomerang lanciato a mezza altezza: ricordo quella volta che eravamo così forti, io ed Amy, che neanche una corazzata come l'Inter poteva batterci, ed anzi doveva ricorrere ad un gol in triplo fuorigioco solo per pareggiarci, per poi essere ovviamente costretta a capitolare, come mi ricordo quella volta che il nostro amore lo abbiamo salvato all'ultimo minuto, all'ultimo minuto come la gioia che ci diede Riise a Torino, la sera in cui con Amy stavamo insieme da mezzo anno, da mezzo campionato. Ci vedevamo il finesettimana, vivendo io a Roma e lei a Genova, puntuali come un calcio di inizio. Da allora, le partite con le genovesi mi fanno sempre un certo effetto, quasi avessero l'aria di un derby, o meglio, di una montagna da scalare. Un caso che l'anno scorso, allora, il sogno si infranse proprio con la Sampdoria? E che all'andata, contro il Genoa, la rete decisiva per loro la segnò chi doveva essere espulso dieci minuti prima per fallo da ultimo uomo? Dovevo immaginarmelo, agli spiriti maligni del calcio non si sfugge mai, e niente è mai per caso. Ricordo il diciotto di Aprile, quando in un derby che sembrava essere scritto da un produttore di Hollywood fuori di testa, Vucinic, il solito, mise incinta una curva, e non potevamo immaginare che avrebbe ingravidato anche noi con quelle due magie. Sarebbe stato bello essere suoi figli. Sarebbe stato bello saper rialzare la testa, come ci fece fare il capitano contro il Cagliari, ma purtroppo certe cose rimangono racchiuse in novanta minuti, quando non c'è neanche più tempo di recupero; ed allora bisogna buttare la palla avanti e sperare in un gesto fortunato. Ma non sempre un gol all'ultimo minuto arriva a salvarti, e non ti resta che ripartire dai cocci, provare a metterli insieme e costruire un qualcosa per la stagione successiva. Che, di solito, ha un retrogusto amaro di insoddisfazione: quando sei arrivato così vicino al traguardo, difficilmente si puo' fare di meglio. Bisognerebbe perlomeno avere degli stimoli.
Continuo a non capire perchè Amy considerasse il calcio come una perdita di tempo. Ma adesso, in questa sera di quasi primavera, ripenso a tutti i chilometri fatti sul campo e sul treno, tutti quei chilometri che, metro dopo metro, rappresentavano un piccolo pezzo di vittoria, e mi dico che continuare a sudare non era sufficiente: quando Amy se ne andò con i suoi profumi ed un taglio di capelli nuovo, era un martedì sera. Non credo sia un caso che quel martedi non ci fossero partite. Non si giocava nemmeno un infrasettimanale di Champions.
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